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La scuola per sconfiggere la jihad dei ragazzini

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Delle 291 persone arrestate in Europa per fatti di terrorismo nel 2016 un terzo circa aveva meno di 25 anni, mentre il più giovane dell’attentato a Barcellona aveva 17 anni e ha il non invidiabile record di essere il primo minorenne ad aver compiuto una strage sul suolo europeo. Non sarebbe un caso isolato quest’ultimo ma l’apice di un trend in crescita. 

Secondo Linkiesta.it la “battaglia del futuro, dell’attentato di dopodomani, si gioca sui banchi di scuola”, mentre la ministra Valeria Fedeli “parla di tutto, tranne che di che strategie educative adottare con quegli oltre 800mila bambini e ragazzini stranieri che frequentano le scuole italiane”

 

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“Eccoci al punto- scrive Linkiesta.it-  non c’è arma come la scuola per togliere legna sotto al fuoco dell’integralismo salafita”.  E invece la ministra non ricorda nemmeno che “nel giro di diciassette anni sono passati a essere da due su cento a uno su dieci. Il 55% dei quali è nato in Italia, ma non ha nazionalità italiana. Un terzo dei quali è di religione musulmana (solo i marocchini sono più di centomila). La stessa riforma della Buona Scuola, tra le tante cose buone e meno buone che aveva al suo interno, di strategie e denari sull’integrazione scolastica degli studenti con origini straniere metteva poco o nulla. Dar loro una scuola all’avanguardia per formarli nel modo corretto, evitando di farne degli apolidi preda dell’Imam di turno – mettendoci fior di soldi e fior di competenze – è un investimento che facciamo sulla nostra sicurezza e sul futuro del nostro Paese. Lasciar andare le cose come vanno, al contrario, vuol dire creare le condizioni affinché anche in Italia accada quel che è accaduto in Francia e Spagna. Se speso così, un euro in cultura vale due euro in sicurezza, forse pure di più. Non è troppo tardi per iniziare a pensarci.