Come stiano in effetti le cose dunque non è chiaro, benchè molte scuole ormai pare che usino i risultati delle prove dei propri ragazzi per valutare la propria didattica ed eventualmente prendere i provvedimenti, considerato che a settembre le prove vengono restituite e si possono tirare le somme.
Ricordiamo fra l’altro che l’anno scorso 78 scuole, sparse tra Trentino e Lombardia, si sono visti restituire le prove di italiano e matematica del quinto ginnasio (il secondo anno per i licei) senza valutazione per un “presunto cheating” che significa “imbroglio”. Una pratica adottata, viene ripetuto dall’Invalsi, dagli insegnanti stessi che “barano”, proprio per sovvertire gli esiti o per evitare presunte penalizzazioni o per impedire che si possano usare per qualsiasi finalità.
Ma a parte questo aspetto, c’è un’altra questione che ancora non è chiara e cioè se i test Invalsi saranno usati anche per gli esami di Stato al posto della terza prova che, come è noto, fino ad oggi è compilata dalla commissione, o se andrà ad aggiungersi come quarta prova scritta.
Tuttavia fa notare Il Corriere della Sera, la polemica sulla valutazione semplicemente non tiene conto del fatto che la scuola è fatta per imparare, che le competenze dei ragazzi vanno valutate nel modo più oggettivo possibile e o si fa una valutazione trasparente e aperta, condivisa o la valutazione delle scuole, della scuola pubblica, continueranno a farla i genitori e gli studenti in modo autonomo, forse non corretto, affidandosi agli strumenti che hanno: raccogliendo informazioni tra gli amici, i vicini, i conoscenti. E chi ha più «conoscenze» avrà informazioni migliori, potrà scegliere scuole migliori per i propri figli.
Il rapporto trasparente con le famiglie rischia di diventare così, scrive sempre Il Corriere, uno dei punti di forza (o di debolezza) della scuola pubblica nei prossimi anni.
“E passa anche attraverso la valutazione: se non credono nelle forze dei loro (nostri) ragazzi gli insegnanti, se non solo loro ad avere anche l’orgoglio del loro insegnamento, chi dovrà difendere la scuola italiana? Solo una scuola pubblica che accetta un rapporto trasparente con le famiglie, che è disponibile a farsi valutare, che è sicura anche della propria missione e delle capacità dei propri insegnanti, potrà essere la vera scuola di tutti. Altrimenti il rischio molto concreto è che le famiglie che hanno disponibilità puntino su altre soluzioni educative per formare i propri figli e la prossima classe dirigente del Paese, lasciando alla scuola pubblica un ruolo che rischia di diventare molto meno determinante o addirittura marginale”.