In questi giorni si sta insistentemente parlando della regionalizzazione della scuola italiana ed alcune regioni del Nord hanno già autonomamente deciso di adottare un percorso di studi autonomo che prevede, tra l’altro, l’apprendimento a scuola della lingua regionale, ossia del dialetto.
Studiare il dialetto fa parte dell’identità culturale di un Paese, ma qui si sta correndo il rischio che le lezioni di dialetto possano andare ad inficiare lo studio della lingua nazionale. Potremmo assistere ad una sorta di settorializzazione linguistica, in cui la storia, la tradizione e la cultura locale prendano, di peso, il posto della lingua italiana e che, quindi, la scuola (stretta tra il dialetto da una parte e la lingua straniera dall’altra) smarrisca completamente l’idioma linguistico nazionale.
Ci potremmo trovare, in un futuro non lontano, alunni che parlerebbero correttamente (o soltanto) la lingua regionale e l’inglese, o il francese o un’altra lingua europea. E la nostra amata lingua italiana che fine farebbe? Perderebbe sicuramente del suo valore storico, culturale ed antropologico.
Ci viene da fare una riflessione sulla questione della regionalizzazione della scuola. Il curricolo nazionale prevede ancora che il 20% del monte ore complessivo possa essere utilizzato dalle scuole in loro autonomia da dedicare alla cultura locale e, quindi, in questo ambito si può inserire lo studio e l’approfondimento della tradizione regionale. Questo è per quanto attiene il fattore culturale. Poi vi sono altri aspetti legati alla regionalizzazione della scuola italiana che riguarderebbero i dipendenti del mondo della scuola che, di fatto, passando da statali a regionali, assumerebbero la connotazione di dipendenti regionali ed essendo le regioni enti locali transiterebbero dallo Stato nel Parastato.
A sua volta ogni regione attuerebbe una propria politica gestionale e molti benefit che ora godono i dipendenti della scuola statali potrebbero venir meno in termini giuridici e soprattutto economici. Si ha l’impressione che dietro questa operazione di regionalizzazione della scuola si nasconda un subdolo tentativo verso la strada della privatizzazione dell’istruzione.
Se così fosse la strada migliore sarebbe quella di conservare e difendere a denti stretti e in tutte le sedi istituzionali la SCUOLA STATALE, così com’è adesso. Un altro fattore che potrebbe incidere sarebbe la crescita del divario tra Nord e Sud. Mentre le scuole del Nord, grazie alla presenza dei poli industriali, beneficerebbero di un’istruzione regionalizzata con l’adozione di curriculi in grado di potenziare l’offerta formativa in un rapporto sempre più stretto tra scuola e azienda e/o industria, e, quindi, in questo caso anche di alternanza scuola-lavoro; le scuole del Sud, invece, penalizzate dalla presenza di poli industriali si troverebbero in una condizione di svantaggio sociale e lavorativo.
È bene, dunque, per salvaguardare il senso dell’unità nazionale, mantenere a carico dello Stato il sistema dell’Istruzione.
Mario Bocola
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