Vi era un motto, un tempo, l’autorità, non la verità fa la legge, un motto che richiama ad una corrente nota come decisionismo. Nulla di nuovo, già detto e scritto da qualcuno.
I sinonimi di decisionismo sono fermezza, risolutezza, che nel quadro esistente conducono all’ordine e disciplina di sistema. No, non dico e non scrivo che siamo nel fascismo, non scherziamo con queste cose, anche per rispetto di chi ha subito il fascismo, combattuto il fascismo.
Ma siamo in un periodo che ha sfumature nebulose, cupe, più grigie che nere, sfumature che possono trascinare questa società verso ciò che oggi sembra essere stato superato e ricordato e condannato, giustamente, nelle celebrazioni o verso altro che non ha né identità, né forma ma solo la voglia di essere semplicemente altro.
Altro che dopo decenni di divisioni, individualismi esasperati, effetti collaterali di una società ove il massimo grado di socializzazione è dato da uno scambio di mail, anche se il tuo interlocutore è nella porta accanto, società ove sono saltate sistematicamente tutte le tradizionali regole di rispetto, ove l’autorevolezza è stata implicitamente assorbita dall’autoritarismo, cerca di farsi largo.
La forza dell’idea, della consapevolezza, della ragione. La scuola pubblica italiana è stata privata metodicamente, da circa vent’anni a questa parte, delle sue risorse economiche, dei suoi mezzi primari di sussistenza. Eppure, nonostante il tutto, tra diritti sempre più storti, stipendi fermi all’inizio di questo nuovo secolo, con il costo della vita che incrementa, così come incrementano le incombenze di lavoro, a costo zero per lo Stato, edifici che ospitano l’avvenire, che dovrebbero essere il tempio più sicuro di questa società, traballano, ed a volte, crollano, si resiste fino al limite della sopportazione, ed ora questo limite è arrivato.
La scuola è il luogo ove si deve formare il futuro cittadino, non un semplice lavoratore, la scuola è il luogo ove si deve esplicare la libertà massima d’insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. La normativa di riferimento, raccogliendo in parte quanto dettato dalla nostra cara Carta Costituzionale, rileva che l’esercizio di questa determinate libertà, è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni.
Libertà d’insegnamento, scuola come tempio laicamente sacro che deve formare i cittadini consapevoli e critici del futuro, dignità, autorevolezza, e soprattutto il processo sociale e fondamentale della solidarietà, vengono meno in quella riforma, nota come “buona scuola”, diventata subito “cattiva scuola”, non emendabile, ma semplicemente da cestinare, voluta da chi in modo fermamente decisionista, governa questo Paese.
E’ vero, la scuola è ritornata al centro dell’attenzione, ma non per merito di una fittizia consultazione, ma per merito di chi ha capito che un Paese senza una scuola Pubblica ed anche Laica, una Scuola che non ponga al centro della sua gravità processi quali quelli della solidarietà, integrazione, dignità, diritto allo studio, consapevolezza critica, amore per il sapere, non avrà consistenza, e si perderà nella pericolosa banalità del nozionismo, della superficialità, ed anche del servilismo.
Rischiamo di consegnare alle future generazioni un Paese che sarà schiavo della propria ignoranza ed in balia esclusiva della volontà dei grandi poteri economici e finanziari.
Questa è la consapevolezza manifestata da milioni di persone, perché i soggetti attivi della scuola non sono solo i docenti, i dirigenti, gli studenti o gli Ata, ma tutto l’universo che ruota intorno ad essa.
Questo maggio non passerà, comunque vadano le cose, sotto il rapido e vorace treno dell’indifferenza, sia per una questione di consenso, vitale per la sopravvivenza dei numeri della politica, sia per una questione di civiltà e di questo chi oggi governa la cosa pubblica, suo malgrado, dovrà farsene una benedetta ragione.