“La scuola è aperta a tutti” (art. 34 della Costituzione italiana).
“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (Art. 3 della Costituzione italiana).
“ … Altri hanno in odio l’eguaglianza. Un preside a Firenze ha detto a una signora: “Non si preoccupi, lo mandi da me. La mia è la scuola meno unificata d’Italia”. Giocare il popolo sovrano è facile. Basta raccogliere in una sezione i ragazzi “per bene”. Non importa conoscerli personalmente. Si guarda pagella, età, luogo di residenza (campagna, città), luogo d’origine (nord, sud), professione del padre, raccomandazioni. Così vivranno nelle stessa scuola due, tre, quattro medie diverse. La A è la “Media Vecchia”. Quella che fila bene. I professori più stimati se la leticano. Un certo tipo di genitori si dà da fare per metterci il bambino. La B è già un po’ meno e così via. Tutta genete onorata. Il preside e i professori non fanno per sé, fanno per la Cultura. Neanche quei genitori fanno per sé. Fanno per l’Avvenire del bambino. Farsi strada a gomitate non sta bene, ma se si fa per lui, diventa un dovere sano” (da Lettera ad una professoressa, di don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana, 1967).
In Italia, Paese nel quale tutti sono in disaccordo su tutto e nel quale si discute e si litiga continuamente (fino ad arrivare agli insulti più tremendi), vi è almeno una cosa che suscita, improvvisamente e come per magia, un consenso universale: l’annuale classifica “delle scuole migliori d’Italia” di EDUSCOPIO (indagine promossa, finanziata e supportata, anche con grande battage pubblicitario, dalla benemerita Fondazione Agnelli, si sa un’autentica indiscussa autorità – non si capisce tuttavia per quali meriti speciali – nel campo della promozione dell’istruzione e della cultura). Di fronte all’annuale classifica pubblicata da Eduscopio tutte le diatribe, tutte le polemiche, tutte le interminabili querelles che caratterizzano il dibattito pubblico in Italia, cessano, immediatamente, come “per incantamento”. Non ci sono più Destra e Sinistra, Conservatori e Progressisti, Liberisti e Statalisti, juventini e interisti, romanisti e laziali, al cospetto del Verbo emanato da Eduscopio. Siamo tutti egualmente consenzienti, tutti egualmente sulla stessa barca, tutti lestissimi a sottoscrivere, senza il benché minimo dubbio, il valore indiscusso e incontrovertibilmente scientifico dei risultati dell’indagine Eduscopio. Anche la stampa, sia quella tradizionale (cartacea o televisiva), sia quella più innovativa (quella che ritrovi sul web), quella stampa che si divide su tutto, quella stampa prontissima a mettere cartesianamente in dubbio l’universo mondo, di fronte a questo nuovo Evangelo, si genuflette senza alcuna eccezione e senza che sulle sue ormai pallide guance appaia il benché minimo rossore.
Come, infatti, non dare ragione e non consentire alle sapienti parole che accompagnano, a mo’ di illustrazione, le tabelle e i numeri nei quali si dipanano e si sviluppano gli esisti della insostituibile ricerca sul campo realizzata annualmente da Eduscopio? “Eduscopio è utile – così troviamo scritto in questa preziosa relazione – perché consente allo studente (allo studente? Quale studente? Quello impegnato nell’ultimo anno della media inferiore?) di comparare le scuole dell’indirizzo di studio che interessa nell’area dove risiede (ad esempio, aggiungiamo noi, nell’area tra Tor Bella monaca e Tor Sapienza, oppure nell’area tra Borgata Ottavia e Primavalle), sulla base di come queste preparano per l’università o per il mondo del lavoro dopo il diploma. Ha successo perché le informazioni che contiene sono frutto di analisi accurate a partire da grandi banche dati (certo, di fronte a “banche dati”, come puoi nutrire il benché minimo dubbio o perplessità?), perciò oggettive e affidabili (anche l’oste, quando parla del proprio vino, lo definisce oggettivo e affidabile). Inoltre, è di facile consultazione e aiuta chi non si accontenta del “passa parola” e, in modo particolare, quelle famiglie che non possono contare su reti sociali e culturali forti”. Quindi, deducendo da queste ultime parole, dobbiamo presumere che l’indagine EDUSCOPIO si rivolge principalmente a quelle famiglie socialmente e culturalmente svantaggiate? Le famiglie residenti nelle periferie delle grandi città? Questa, a mio avviso, è la rivelazione più impressionante del nuovo Evangelo.
Deve essermi sfuggito, evidentemente, un fenomeno noto soltanto agli organizzatori di Eduscopio, quel fenomeno che, da quando la Fondazione Agnelli ha cominciato a pubblicare i risultati dell’indagine “sulle migliori scuole d’Italia” ha visto migliaia e migliaia di genitori dei quartieri periferici delle grandi città (genitori che, ovviamente, “non possono contare su reti sociali e culturali forti”) fare la fila, nei mesi invernali, davanti alle segreterie di scuole famose del centro (es.: Tasso, Visconti, Virgilio, Righi, ecc.), per iscrivervi i loro pargoli tredicenni, ansiosi, questi ultimi, di frequentare per cinque anni una scuola che assicuri loro un vero, autentico, successo, tanto negli studi universitari quanto nel mondo del lavoro (se, putacaso, non avessero voglia di proseguire gli studi dopo l’agognato diploma di maturità).
Gli organizzatori di Eduscopio ci garantiscono inoltre che “Le analisi e i confronti di Eduscopio si riferiscono a due compiti educativi fondamentali: 1) la capacità dei licei e istituti tecnici di preparare e orientare gli studenti a un successivo passaggio agli studi universitari; 2) la capacità di istituti tecnici e istituti professionali di preparare l’ingresso nel mondo del lavoro per quanti, dopo il diploma, non intendono andare all’università e vogliono subito trovare un impiego”. A questo proposito devo confessare una mia grave carenza: ignoravo, infatti, che i suddetti compiti rientrassero tra i compiti educativi fondamentali. Ero infatti convinto che tali compiti rientrassero nel novero delle conoscenze e, in generale, del complessivo bagaglio culturale che la scuola è chiamata a fornire ai suoi giovani utenti. Al contrario, ero convinto che i compiti educativi fondamentali consistessero nella formazione dello studente alla cittadinanza attiva, nella trasmissione e nell’acquisizione di quei valori che sono alla base della convivenza civile e che sono inscritti, a lettere di fuoco, nei principi fondamentali della Costituzione: libertà, democrazia, solidarietà, apertura alle diversità e alla molteplicità delle culture, spirito critico e orientamento alla ricerca, e così via. Evidentemente mi sbagliavo, oppure sono portatore (ormai insano) di una visione del mondo e di una cultura retrò, stantia insomma. Una persona che ancora crede che una buona scuola si vede dalla capacità che essa dimostra di aiutare i propri alunni (soprattutto quelli più svantaggiati e che presentano una molteplicità di problemi) ad affrontare e, possibilmente, a rimuovere tutti quegli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza di tutti i cittadini. Ero, e rimango, convinto altresì che la scuola, essendo aperta a tutti, debba necessariamente essere la scuola dell’inclusione, misurandosi quotidianamente con i problemi, con le difficoltà, con gli svantaggi (psicologici, sociali, a volte fisici) che moltissimi alunni, soprattutto coloro che non possono contare su “reti sociali e culturali forti”, si portano dietro anche all’interno delle mura scolastiche.
C’è però un’altra possibilità: che a sbagliarsi siano tanto gli organizzatori di EDUSCOPIO (portatori di una visione aziendalistica, liberistica, competitiva, per la quale ciò che conta non è il riferimento ai valori costituzionali, quanto piuttosto le leggi ferree del Mercato, leggi indiscutibili perché naturali) quanto coloro che prendono per oro colato gli esiti delle indagini EDUSCOPIO, senza preoccuparsi delle premesse – niente affatto scientifiche, ma molto ideologiche (nel senso negativo del termine, vale a dire “falsa coscienza”) – sulle quali vengono realizzate simili operazioni.
Di Francesco Sirleto
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