La scuola senza voti può comportare un pericolo e precisamente il pericolo di incrementare l’ignoranza.
E’ questo, in sintesi, il pensiero di un nostro attento lettore, pensiero che – stando a quello che si legge nei social – è assai più diffuso di quanto sembri.
Il fatto è che si tratta di una idea, certamente legittima, ma che ha davvero poco fondamento.
Per quanto ne sappiamo, infatti, non esistono ricerche docimologiche che confermino questo punto di vista. Anzi è esattamente il contrario.
Già negli anni ’50 gli psicologi dell’apprendimento avevano messo in evidenza che il bambino impara perché è spinto da una motivazione interna, impara per il gusto e per il piacere di scoprire cose nuove.
Certamente si possono anche imparare tutte le date più importanti della storia del Risorgimento italiano in vista della interrogazione del giorno dopo ma – come tutti noi abbiamo sperimentato – si tratta di un apprendimento di breve durata, che quasi sempre scompare per lasciare spazio ad una nuova sequenza di date legate ad una interrogazione successiva.
D’altronde proviamo a riflettere un momento su una normalissima esperienza quotidiana come quella di preparare un risotto.
Cosa ci spinge ad imparare a cucinarlo ? La risposta è semplice: siamo spinti dal desiderio di poter dire “buono questo risotto” nel momento in cui lo mangiamo; ovviamente siamo anche interessati ad avere il consenso delle persone che lo mangiano insieme a noi e così via.
Perché il bambino vuole imparare ad andare in bicicletta? Ovviamente perché è una attività divertente e piacevole, che permette anche di fare nuove esperienze di socialità.
Insomma, a meno che non dobbiamo partecipare ad un concorso, siamo interessati a imparare perché vogliamo fare qualcosa di gratificante in sé.
Certo è che il fare scuola facendo leva sulla motivazione dell’alunno anziché sulla gratificazione del “bel voto” è difficile e faticoso, anche perché non tutti gli alunni hanno la stessa motivazione e lo stesso modo di imparare.
Ma l’ “azione pedagogica” contiene in sé anche questa grande sfida: riuscire a trasmettere a tutti gli alunni il desiderio di imparare e di migliorarsi.
Certo, si può anche “convincere” l’alunno a imparare e a studiare allettandolo con il premio del bel voto. Ma questo non è apprendimento vero, al massimo è addestramento: nel primo caso si aiuta l’alunno a diventare un soggetto autonomo, nell’altro caso si rischia di limitarsi a farlo diventare un esecutore, magari anche molto bravo, di progetti altrui.
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