Attenzione maggiore verso gli alunni difficili, svogliati e a rischio abbandono, ma anche ridurre progetti e burocrazia nelle scuole perchè distolgono gli insegnanti dalla loro missione pedagogica: sono i passaggi chiave dell’appello rivolto alle istituzioni e alla politica dal Gruppo Scuola del Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di don Lorenzo Milani. Il documento è stato presentato nella capitale, al termine della due giorni di confronto svolta al Rettorato dell’Università Roma Tre su “Una scuola per cittadine e cittadini sovrani”.
“L’ipertrofia dei progetti elaborati dalle scuole, sollecitati ulteriormente dagli interventi del Ministero, e la crescente e sproporzionata burocratizzazione del lavoro dei docenti sono un chiaro segno di indebolimento del mandato costituzionale”, si legge nel documento finale.
“Per formare cittadine e cittadini sovrani non basta infatti l’insegnamento delle singole discipline, bisogna trasformare la scuola nel luogo che dà la parola ai muti e voce alle coscienze. I nostri ragazzi oggi vivono in una dimensione planetaria e vanno quindi educati a muoversi nella complessità con mente libera e spirito critico”.
Secondo il Comitato “la scuola dell’obbligo, in particolare, deve insegnare il dialogo e l’ascolto, deve rendere consapevoli dell’interdipendenza che tutti ci unisce, deve promuovere l’etica della responsabilità e la pratica della pace”.
Alla base del messaggio c’è una convinzione: “l’I care insegnato dal priore di Barbiana è oggi più che mai attuale”. Questo, si legge ancora nel documento, “impone che nella scuola la priorità sia data agli ultimi, ai più fragili, agli svogliati, ai ragazzi delle nuove e tante Barbiane, per lo più stranieri e immigrati. Vanno adattate alla realtà del nostro tempo, le tre proposte avanzate da Lettera a una professoressa che ci sembrano ancora molto efficaci: non bocciare, ovvero fare scuola in modo che tutti raggiungano i risultati previsti, intervenendo in modo inclusivo e non punitivo per superare difficoltà di apprendimento; tempo pieno per tutti, in particolare nel Mezzogiorno dove ogni cinque anni se ne perde uno, per ridurre il divario tra chi può contare su contesti familiari favorevoli e chi no; motivare allo studio e favorire l’impegno nella società.
Un’altra convinzione di fondo del comitato è che “per formare cittadini e cittadine sovrani non bastano la conoscenza, l’acquisizione e l’elaborazione dei contenuti culturali disciplinari”.
L’analisi del contesto scolastico riportata nell’Appello è molto critica sulla gestione attuale dell’Istruzione pubblica: “da un lato, si assiste alla proclamazione solenne dei diritti costituzionali, negati di fatto dalla mancanza di risorse investite, dai continui pesanti tagli alle risorse e da un modello sociale caratterizzato dal primato del successo, da un individualismo esasperato e disperato, dalla violenza diffusa; dall’altro, vi è la necessità di denunciare, contestare, contrastare le mode dominanti muovendosi anche in un orizzonte utopico, necessario per motivare docenti e studenti”.
La richiesta finale, dunque, è quella di “investire con urgenza nuove e maggiori risorse per restituire alla scuola la centralità che le spetta nello sviluppo democratico del Paese”. A questo scopo “occorre assicurare flessibilità e dilatazione di tempi e spazi per il lavoro dei docenti a scuola e per le attività autogestite dagli studenti; formazione di classi meno numerose; stipendi europei per tutti gli operatori e operatrici scolastici/che, chiamati a svolgere una funzione sociale e culturale insostituibile per la vita del Paese”.
In definitiva, la scuola dovrebbe “diventare anche un vero e proprio centro di aggregazione sociale, capace di coordinare in uno sforzo educativo comune le varie agenzie formative del territorio”. A questo scopo occorre ripensare la funzione dei Decreti delegati, a 50 anni dalla loro approvazione, per mettere un argine democratico ai vari e costanti tentativi di subordinare l’attività scolastica agli interessi immediati del territorio.
Nell’Appello si legge anche che “gli attuali percorsi di alternanza scuola–lavoro sono inutili, spesso privi delle necessarie sicurezze, orientati come sono da una logica di apprendistato fine a sé stesso”. Le richieste toccano anche il reclutamento e la formazione delle e degli insegnanti, per le quali il “come bisogna essere” deve diventare centrale, come pure “Lettera ad una professoressa”, che dovrebbe diventare “un testo in uso in tutti i corsi di formazione iniziale”.
“Su questi punti – si legge nelle conclusioni. – con le donne e gli uomini della scuola, i sindacati e le associazioni, il gruppo scuola del Centenario di don Lorenzo Milani continuerà a vigilare, incalzando le istituzioni del paese perché si affermi una politica scolastica coerente con i principi della nostra Costituzione”.
Rosy Bindi, presidente del Comitato nazionale Centenario don Milani, ha ricordato che “don Milani è stato scomodo, inquieto e inquietante come ha detto Papa Francesco, e lo è ancora adesso.”.
“Ma è stato sintonico con il proprio tempo – ho sottolineato Bindi – anche se non veniva capito, le sue parole e la sua azione sono state accolte e in qualche modo attuate”.
Quindi ha detto che “con le grandi riforme degli anni Settanta, per i diritti del lavoro, il valore della scuola e della sanità pubbliche, la società che si stava costruendo incontrava l’opera anticipatrice di don Milani.
Non a caso ‘Lettera a una professoressa’ sarà anche letta come un testo che ispira il ‘68 e il cambiamento nel mondo della scuola. Ma oggi la nostra società appare distonica rispetto a Milani. Si è interrotto il cammino di attuazione della Costituzione e i suoi valori non sono più avvertiti come unificanti, come cemento della coesione”.
“Chi oggi ama don Milani – ha proseguito Bindi – rischia di apparire controcorrente. Il valore dell’istruzione pubblica non è più centrale e la scuola non è più sentita come un bene comune, come la leva più importante di emancipazione e promozione umana. Don Milani, con la sua scuola rigorosa ed esigente, aveva messo i ragazzi più poveri in grado di conquistare la propria dignità. Oggi non è così, basta guardare ai dati sulla dispersione scolastica e alla povertà educativa”.
“Il nostro appello – ha sottolineato la presidente – non si limita a chiedere maggiori risorse e una politica che finalmente investa sulla sostenibilità e la centralità dell’istruzione pubblica. C’è bisogno di una scuola che sappia includere, attenta ai bisogni educativi dei ragazzi, che sviluppa le capacità critiche e l’autonomia dei ragazzi, che sappia assicurare a tutti di raggiungere al termine di ogni ordine di studi le competenze previste”.
Secondo Rosy Bindi “ci sono tanti esempi positivi di scuole che attuano, come chiediamo nel nostro appello, il mandato costituzionale. Una di queste ė la scuola di Pioltello dove il 40% degli studenti è musulmano e che per questo ha deciso di dichiarare vacanza il giorno in cui finirà il ramadan. Purtroppo ci sono esempi meno buoni, come quelli del Liceo di Partinico dove gli studenti hanno bocciato la proposta di titolare la loro scuola a Peppino Impastato, perché il suo nome sarebbe stato divisivo”.