A distanza di 60 anni il pensiero di don Milani rimane fortemente attuale: perchè oggi, come negli anni Sessanta, la scuola deve essere accogliente, non punitiva; e la sconfitta più grande di un istituto scolastico rimane sempre quella di perdere gli alunni; come la priorità rimane quella di guardare prima ai fragili. Il messaggio arriva dalla seconda giornata del convegno sul tema della dispersione scolastica, organizzato dal Comitato per le celebrazioni del centenario dalla nascita di don Lorenzo Milani, presieduto da Rosy Bindi. Gli interventi si sono svolti a Catania, nel quartiere periferico di Librino, nell’istituto comprensivo “Rita Atria”, dove hanno raccontato le loro esperienze diversi presidi, docenti, esperti di formazione, politici, magistrati.
“L’abbandono scolastico necessita di una concentrazione di tutte le istituzioni”, ha detto Rosy Bindi nell’intervento di chiusura della due giorni.
Ad aprire i lavori era stata Patrizia Tumminia, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo ospitante, intitolato a Rita Atria, la ragazza testimone di giustizia che si tolse la vita a 17 anni, appena una settimana dopo dalla strage di via D’Amelio: la ds ha ricordato il contesto difficile in cui è collocata la scuola e le azioni che vengono attuare per imprimere comunque dei valori che guardano alla legalità e alla crescita della persona.
Tiziana D’Isanto, preside dell’Istituto Comprensivo “Teresa Confalonieri” di Torino, ha parlato dell’importanza dell’apertura e della collaborazione orizzontale con enti esterni e reti di promozione culturale, oltre che dell’interazione attiva con le associazioni presenti sul territorio, fautrice di rapporti di partenariato e collaborazione a sostegno degli alunni “fragili”, che necessitano di un supporto che vada oltre il tempo trascorso a scuola.
Anche Lorenzo Varaldo, a capo dell’Istituto comprensivo “Sibilla Aleramo” di Torino, ha spiegato i motivi dell’approccio “rovesciato” della sua scuola, nato per “attirare un’utenza ancora legata all’istruzione e alla cultura, per combattere la scuola-ghetto, cioè quel fenomeno di ‘fuga’ dell’utenza che lascia spazio ad un abbassamento culturale generale pur di ‘promuovere’”. Varaldo ha detto che non ci si deve accontentare “degli ‘obiettivi minimi’: non costituiscono ‘il faro’, che invece è costantemente orientato su quelli massimi”.
La professoressa Maria Tomarchio, ordinaria di Pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Catania, ha invece ragionato su scuola e nuove povertà sostenendo che “l’educazione ha bisogno di tempo e progettualità”.
Giovanna Mugione, ds dell’Istituto Comprensivo “Carlo Alberto Dalla Chiesa” di Afragola, ha sottolineato i motivi per cui la “scuola va intesa come comunità attiva, aperta al territorio ed in grado di sviluppare ed aumentare l’interazione con le famiglie, ma anche con le organizzazioni del terzo settore e le imprese”.
Negli istituti, ha spiegato, serve la “frequenza pomeridiana per il contrasto alla dispersione scolastica di alunni fragili, evasori e a rischio di dispersione per elevato numero di assenz. I giovani – ha aggiunto – sono sempre più assorbiti dall’influenza dell’ambiente, oltre che quella familiare: di positivo, c’è solo la scuola e la parrocchia. Dopo c’è la dispersione culturale”. Mugione ha inviato qiuindi un appello alle forze politico-sociali e terzo settore: “la politica deve risanare questi territori”.
Lo scorso anno , la preside Mugione ha scoperto che nella sua scuole c’era il 15% di alunni totalmente evasori, poi un altro 11% che frequentavano poco e non studiavano: “serviva un lavoro di squadra che operasse con azioni fattibili”. Per questo, sono stati attivati dei Progetti di musica, teatro e altro, “con studenti organizzatori assieme ai docenti: si sono sentiti protagonisti, coinvolgendo anche i genitori (alcuni hanno partecipato)”. I risultati sono arrivati.
“E con dei docenti tenaci – ha concluso – abbiamo cercato di fare un ri-orientamento con dei ragazzi dispersi”. Sono stati attivati tre corsi: uno per operatori del benessere (estetista, per le femmine), altri due per operatori informatici, tutti maschi, anche con loro è stato più difficoltoso il coinvolgimento.
Quindi ha preso la parola la dirigente scolastica Giovanna Mezzatesta, del liceo Scientifico “Piero Bottoni” di Milano, posto in un quartiere semiperiferico, che si caratterizza come presidio di legalità antimafia: un liceo scientifico volutamente rimasto tradizionale, “con il Latino”, senza altri indirizzi che avrebbero potuto diventare sfogo e “scarico” degli alunni che, direbbe qualcuno, “non-sono-fatti-per-il-liceo”. Una scuola senza cosiddetti “buonismi” e senza “6 politici”, con percorsi di ricerca e azione con l’Università, verso l’acquisizione di una coscienza civile e critica.
Mezzatesta ha detto che la scuola tendenzialmente va tenuta aperta di mattina e pomeriggio, anche solo per studiare: si fa spesso invece nei centri commerciali, segno dell’esigenza di socializzare da parte dei giovani,
“La scuola non ha aderito al docente tutor, perché è convinta che non è quella la strada per vincere la dispersione ”, ha quindi tenuto a dire, ricordando l’opposizione del Collegio dei docenti del suo istituto all’iniziativa ministeriale finanziata con i soldi del Pnrr.
La professoressa Guzzetti, docente nel liceo Bottoni di Milano, ha raccontato che dopo il Covid si è assistito ad un vistoso aumento dell’ansia tra i giovani, anche trasmessa dalle famiglie. Quindi, ha insistito sul “ruolo negativo dei social, come pure sull’ossessione degli studenti per le medie del registro elettronico. Questa ansia – ha sottolineato – altera l’aspetto educativo: si arriva a copiare le prove per raggiungere il risultato”.
Quindi, ha raccontato delle “contestazioni verso la scuola da parte delle famiglie, non attente però alla formazione della persona: così si perde di vista la dimensione individuale e sociale dello studente. Se si inculca al figlio principalmente che “deve trovare un lavoro, deve fare i test per l’università, si rischia di perdere lo studente”. Quindi ha concluso auspicando “nuovi metodi di valutazione e un sereno clima della classe: sono fondamentali”.
Quindi, è stata la volta del missionario comboniano Alex Zanotelli, che collegato on line si è soffermato sulle tante Barbiana presenti in Italia, come quella del quartiere Sanità di Napoli dove opera. Successivamente, Zanotelli ha commentato il difficile ruolo della categoria degli insegnanti, oltre che le responsabilità di certi generi di famiglie dei giovani.
Il preside Danilo Vicca, del liceo Artistico “Enzo Rossi” di Roma, ha premesso che “le sedi (Rebibbia, Cave, Tiburtina) sono frequentate da una ‘utenza’ caratterizzata da tassi significativi di dispersione scolastica: per questo, la scuola da lui diretta ha dato vita a progetti specifici di recupero, ma anche per adulti, usufruendo dei fondi del ministero dell’Istruzione per le aree a rischio. Una realtà che non si rivolge soltanto agli studenti in età scolare, che hanno interrotto il loro percorso d’istruzione”.
Secondo Vicca sono “tre i fattori chiave: il clima, la motivazione, l’apertura della scuola. Sul primo, il Progetto “Teatro integrato” vuole essere un volano di cambiamento nella scuola: i ragazzi si vedono il pomeriggio per recitare, con ricadute positive sulle competenze disciplinari”.
Nella scuola Enzo Rossi si cerca di “far dialogare il progetto sul Cinema con quello di Teatro proponendo le attività laboratoriali dei ‘diversi linguaggi artistici in movimento’ sempre favorendo l’inclusione dei ragazzi disabili , dei ragazzi a rischio di abbandono scolastico”.
Il fine è quello di offrire “momenti e spazi per lo sviluppo dell’attività immaginativa, della libera espressione, la possibilità di riuscire al meglio secondo proprie potenzialità e capacità”.
Ha preso poi la parola il ds Giusto Catania, dell’Istituto comprensivo “Giuliana Saladino” di Palermo: il quartiere “San Giovanni Apostolo”, dove sorge la scuola, rappresenta, nell’immaginario collettivo e nel dibattito disciplinare, un caso esemplare delle problematiche presenti nelle periferie urbane del Sud d’Italia, nei termini della marginalità geografica, economica e socio-culturale.
“L’ambiente sociale – ha spiegato – è attualmente condizionato da situazioni di deprivazione a causa della crisi economica e sociale, aggravate anche dalla presenza di fasce di disoccupazione, microcriminalità, alcolismo e tossicodipendenza”.
La ‘mission’ della scuola è sintetizzata nella formula “La scuola fuori dalla scuola”: rimodulare l’attività educativa individuando luoghi alternativi rispetto allo spazio fisico tradizionale del “fare scuola”; rompere la sistematicità delle singole discipline scolastiche; aumentare il tempo-scuola, creando uno spazio di socialità per il quartiere”.
“In questo contesto – ha detto il preside Giusto Catania – la scuola ha pensato di attualizzare la figura di don Milani: in questi luoghi è una continua contrattazione con la mafia, intesa come cultura mafiosa: una cultura che si è sedimentata nella testa della gente. La scuola deve allora dare il segno che c’è un altro modo di vivere: le attività progettuali che si sono succedute negli anni dirottate verso spazi fisici”.
Sono diversi i progetti adottati: “ad esempio, la matematica insegnata giocando a bridge”.
Sul Pnrr, ha detto ancora Giusto Catania, è importante capire come viene utilizzato il denaro e qual è il progetto pedagogico”. L’impressione è che “non sia stata adottata una nuova concezione”.
E ancora: “stiamo perdendo sulla qualità delle parole. La parola merito è un’idea competitiva: la scuola è solidarietà. Non si possono etichettare gli studenti in base al voto. Dobbiamo salvare l’articolo 3 della Costituzione: non è una Nazione, perché non abbiamo costituito il Paese in base alla concezione geografica”.
Infine, il preside Catania ha ricordato che “si diventa presidi solo se hai fatto l’insegnante: con circa 600 iscritti la nostra scuola rischia di chiudere: sarebbe una sconfitta per lo Stato, perchè aumenterà la dispersione scolastica. Qualità e azione del territorio dovrebbero però incidere sul mantenimento in vita della scuola, non può valere solo il numero di iscritti per non cedere l’autonomia scolastica”
Agata Pappalardo, dell’Ufficio diocesano sulla dispersione scolastica ha ricordato che Catania è una delle due città italiane dove l’Ufficio ha costituito un ufficio di contrasto alla dispersione: “Il successo scolastico – ha spiegato – dipende moltissimo dalla provenienza socio-economica e dal titolo di studio dei genitori. La scuola è sempre meno ascensore sociale”.
Quindi, ha detto che “la felicità nasce dall’essere riconosciuto: emarginare i ragazzi demotivati, chi subisce forme di bullismo, è l’errore peggiore. Ci dobbiamo occupare di loro, di aiutarli a scoprire loro stessi. Per i credenti, di comprendere il progetto che Dio ha di loro. Con i progetti, i giovani si sono raccontati, perchè l’uomo è in continua evoluzione”.
Secondo la dottoressa Pappalardo, occorre “avviare processi di cambiamento, comunità orientanti: sono fondamentali perché coinvolgono la gente che vive nella zona. Servono osservatori di quartieri importanti che risveglino la gente dal torpore. C’è anche da recuperare il ruolo delle parrocchie. E sull’affido culturale – ha concluso – c’è una convenzione con l’Ufficio scolastico di Catania”.
L’ultimo intervento è stato di Cristiano Corsini, professore di Pedagogia all’Università Roma Tre Dipartimento Scienze della Formazione: parlando della “tirannia del voto”, il docente accademico ha ricordato che “il voto nasce per finalità puramente burocratiche, non ha mai avuto una funzione educativa. Quella ce l’ha la valutazione, non il voto. Anche la legge non ha mai considerato i voti, i numeri, semmai le valutazioni”.
“Il voto imposto (per innovazione) è quindi pericoloso: perché alimenta concorrenza e sfruttamento, che diventano la regola anziché l’eccezione. Usare i voti – ha concluso Corsini – significa preparare cittadini che saranno schiavi e padroni, senza cambiare”.
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