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La scuola significa ormai solo timbrare il cartellino, è diventato il luogo del delitto e noi insegnanti siamo gli assassini

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Cosa stiamo aspettando? Che gli studenti mettano nero su bianco il degrado del sistema educativo italiano? Abbiamo già tutti i sintomi: svogliatezza, indifferenza, in una parola zombificazione. Il fatto che vivano più nella virtualità che nella realtà è il chiaro segno di quanto non stimolante e spenta sia diventata la scuola. Stiamo usando in modo intelligente le metodologie didattiche digitali? Avevamo promesso più coinvolgimento, più interattività, più produttività ai nostri alunni. Invece di indurli a vivere nella realtà, li stiamo prescrivendo un sovradosaggio digitale e nel contempo rimproveriamo la loro dipendenza da social. Stiamo alimentando la loro inattività, stiamo avvelenando la loro creatività. Li vediamo sempre più scarichi, sempre meno partecipativi e meno ricettivi. Li stiamo spingendo sempre più in gatta buia. La virtualità è il loro habitat ormai.

Ma invece di criticarli, cerchiamo di capirli? Perché preferiscono l’influencer di Tik Tok al professore? La scuola dovrebbe essere il luogo principale di interazione, stimolo, scoperta, interesse, emozione. Oggi è l’inceneritore di idee. Il sistema borghese ha trasformato la scuola in un processo di “accomodation” dove tutto è concesso, tutto è arrotondato per eccesso, ma dimenticando il compito più urgente: la cura dell’anima. Oggi gli studenti masticano pane e voti. Non esistono più le materie preferite, non esiste più il professore più bravo, tutto è ridotto ad un numero, o ad un giudizio. Il muro che si erge tra cattedra e banchi è sempre più imponente. Se ci siamo prefissi di giudicare solamente sulla loro preparazione almeno facciamolo in modo trasparente. Le loro menti da automi sono diventate dispense temporanee di informazione le quali vengono espulse non appena se ne accumulano altre per mancanza di byte. E che cosa ci possiamo aspettare come insegnanti e come genitori? Una società sempre più improntata all’individualismo, opportunismo, anti-meritocratica e materialista. Tanto ormai sanno tutti che nella vita per essere felici servono solo tre cose: soldi, raccomandazioni e ”c**o”. Questa è la tanto osannata linea di pensiero a cui tutti attivamente o passivamente si stanno omologando.

Mi sono appena laureata e prima di iniziare ad insegnare, come tutti gli insegnanti alle prime armi avevo idealizzato il mondo scolastico. Neanche ai miei tempi il liceo era una fabbrica di sogni ed emozioni ma sicuramente mi ha trasmesso dei valori, quali la disciplina, la costanza e il merito. Questo lo devo ai miei professori, ovvero alle persone che hanno messo anima e corpo nel loro lavoro. Il sogno di diventare insegnante non lo devo al programma, e nemmeno ai voti che ho preso. Lo devo alle persone che hanno fatto la scuola, alla loro storia, al loro carisma e al loro essere inquieti. Lo devo agli amori che hanno portato in classe, non ai propri umori. Perché non si da più un motivo per vivere ai ragazzi, perché non si è più capaci di incantare, di ammaliare, di appassionare? La scuola significa ormai solo timbrare il cartellino, è diventato il luogo del delitto e noi insegnanti siamo gli assassini. E non ci possiamo giustificare dicendo che stiamo annaffiando su terreni sterili, perché siamo noi che ci siamo dimenticati di piantare i semi.

Giorgia Corbellari