Da un quarto di secolo la politica scolastica italiana sta recependo le istanze europee. Nel 1992 il Trattato di Maastricht conferiva alla Commissione Europea competenze in materia di istruzione. Ne è subito conseguita una visione economicistica della Scuola (come ben mette in evidenza Anna Angelucci), in linea con il neoliberismo, vera religione economica sposata da tutti i Governi del pianeta. Da allora anche il nostro Paese ha fatto proprie le richieste avanzate in materia d’istruzione dai maggiori gruppi industriali italiani ed europei, dalle multinazionali, dai loro gruppi di pressione e dai loro numerosi ed influenti “esperti”.
Rendere la Scuola simile a un’azienda
Nel 1995 la Commissione Europea pubblica un “Libro Bianco” intitolato “Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva”: vi si afferma che i sistemi formativi devono adattarsi e avvicinarsi alle caratteristiche dell’impresa per mantenere l’occupazione in Europa e la competitività europea. Quanto si è fatto da allora per rendere aziendale la Scuola italiana nell’ultimo trentennio, d’altronde, lo abbiamo più volte sottolineato. Ebbene, non possiamo evitare di domandarci: tutto ciò è avvenuto nell’interesse generale? O nel vantaggio esclusivo di alcuni potentati economici?
«Basta con queste (noiose) costituzioni antifasciste»
«Svincolatevi prima possibile dalle vostre costituzioni antifasciste». Questo è il succo degli amorevoli “consigli” rivolti all’Unione Europea dalla JP Morgan, in un documento pubblicato il 28 maggio 2013: The Euro area adjustment: about halfway there. Forse per la prima volta la società finanziaria e bancaria newyorchese (capofila nei servizi finanziari globali, con più di 90 milioni di clienti sparsi per il pianeta) è andata ben oltre la consueta (ed invadente) richiesta di riforme strutturali basate sull’austerity. Infatti, se già nell’introduzione il documento dichiara in modo esplicito che è indispensabile agire politicamente in ambito locale, alle pagine 12 e 13 esso parla dei “limiti” delle costituzioni europee con parole chiarissime: «Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…). Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica». Limiti dovuti, secondo JP Morgan, al fatto che queste costituzioni sono state create in seguito alla caduta del fascismo (quasi a dire che, tutto sommato, il fascismo era il male minore).
«Constitutions tend to show a strong socialist influence, reflecting the political strength that left wing parties gained after the defeat of fascism»: le nostre costituzioni sarebbero nate da una «forte influenza delle idee socialiste», che «riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo».
«Libertà e giustizia? Un lusso che non possiamo permettervi»
Si sa, negli States la parola «socialismo» suona come una bestemmia. Il dio Denaro s’infuria al solo sentir parlare di politiche sociali, soprattutto se queste possono opporre qualche limite al profitto privato. La parola “libertà” negli USA si intende come assoluta emancipazione dei miliardari da qualsiasi vincolo legislativo che anteponga al loro tornaconto l’interesse collettivo. Al contrario, qualsiasi politica volta a proteggere gli strati più deboli della società viene automaticamente bollata come “socialista”: che è, appunto, una parolaccia. Costituzioni “socialiste” come quelle europee non favorirebbero “l’integrazione” dell’eurozona. Che, tradotto in italiano spicciolo, significa quanto segue: le idee socialiste che hanno generato le nostre costituzioni non permettono di applicare le draconiane misure di austerity che i saggi soloni di JP Morgan vorrebbero veder applicate anche da noi (naturalmente per il nostro bene). Anche se, dove queste misure vengono eseguite (ossia nei tre quarti del pianeta, e soprattutto nel Terzo Mondo), i Paesi che le applicano sono sempre più indebitati e dipendenti dalla finanza internazionale (con le guerre, i disastri e gli esodi collettivi di cui siamo muti testimoni da decenni e decenni).
«Troppe garanzie costituzionali dei diritti dei salariati»
Maggiori indiziate di “socialismo”, in particolare, sarebbero le costituzioni dell’Europa meridionale, colpevoli dei seguenti delitti: «weak executives (ossia governi irresoluti nei confronti dei parlamenti); weak central states relative to regions (cioè autorità centrali fiacche nei confronti delle regioni); constitutional protection of labor rights (ovvero garanzie costituzionali dei diritti dei salariati); consensus building systems which foster political clientalism (tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo); and the right to protest if unwelcome changes are made to the political status quo (e il permesso di opporsi se vengono proposte modificazioni sgradite dello status quo)».
La crisi, secondo JP Morgan, avrebbe già dimostrato che queste peculiarità comportano effetti gravi. Ciò sarebbe avvenuto soprattutto in Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia, Paesi incapaci di applicare le riforme fiscali ed economiche “consigliate” (o, meglio, imposte) dal mondo dell’alta finanza. Incapacità, questa dei Paesi del Sud d’Europa, da attribuirsi appunto, in toto, alle loro costituzioni.
Ma la nostra Scuola non è frutto della Costituzione?
Orbene, non è forse la nostra Costituzione che istituisce la Scuola quale l’avevamo conosciuta fino al diluvio di “riforme” che negli ultimi decenni l’hanno stravolta? Queste “riforme”, dunque, sono state ispirate davvero da sincero desiderio di miglioramento della Scuola? Sono state progettate davvero sulla base di princìpi generali e non di interessi privati?
Tenteremo di rispondere a queste domande in un prossimo articolo. Nel frattempo, lasciamo la riflessione ai nostri lettori.