I lettori ci scrivono

La scuola tra realtà e rappresentazioni contraddittorie

Si dice che la scuola è aperta ma non ci si intende se si parla degli edifici oppure dell’istruzione. Si dice che si è provveduto ad ogni necessità, senza chiarire se si sta parlando di banchi oppure di docenti e insegnamenti.

Non per nulla sul Corriere della Sera si legge: “se non ci fosse la realtà o venisse mascherata dagli incantesimi della propaganda bisognerebbe andarla a trovare più spesso di persona” (A. D’Avenia dal Corriere della sera del 19 ottobre).

Assistiamo così al Ministro che ripete in numerose interviste, pare con piena convinzione che “Pensavano che fosse u rigore a porta vuota. Credevano di poter chiudere le scuole, vanificando l’immenso lavoro fatto quest’estate e gli stessi sacrifici dei ragazzi (lasciati a casa per sette mesi?) senza che ci fosse nessuna reazione. Ma hanno trovato un’intera comunità fatta di docenti, personale scolastico, famiglie e studenti, pronta a parare” (da La Repubblica del 18 – ottobre 2020).

Viceversa sempre dal Corriere del giorno dopo, si legge: “Stiamo facendo un cammino verso la scoperta di noi stessi che è un incubo. Siamo estranei al corpo docente, insegnanti che cambiano sempre, non conoscono i nostri nomi e quindi mai potrebbero insegnarci a crescere. Le cose vanno così da anni e, con il nostro silenzio, spesso siamo stati complici: non abbiamo voluto la scuola ma un parcheggio, non docenti ma parcheggiatori a ore.”

“In un mese, a causa della mancanza dell’insegnante di ruolo, ho già cambiato 7 professori di italiano” tralascio le lettere relative a ragazzi ancora senza il sostegno e abbandonati a se stessi. Come può accadere tutto questo mentre politici e sindacati si pregiano di mirabili lotte per i diritti?

Nel contempo i genitori continuano a portare i figli a scuola, nonostante il disorientamento informativo, con il timore che si chiuda un’altra volta e con la paventata prospettiva di ritrovarsi con i bambini a casa, tra l’incertezza del lavoro e la carenza di risorse per la cura e il sostentamento.

A tutto questo si aggiunge lo sconforto nel constatare come queste situazioni paradossali e contraddittorie si verificano in molte scuole pubbliche statali, mentre nelle scuole pubbliche paritarie, spesso a pochi passi dello stesso quartiere cittadino, sembra che tutto vada per il meglio.

In quegli istituti si fa lezione regolare dal primo giorno, sono assicurate le precauzioni sanitarie, i genitori possono contare su comunità di insegnanti e famiglie che insieme garantiscono istruzione, cura e si fanno carico con responsabilità e iniziativa di ogni evenienza.

La narrazione prevalente nell’opinione pubblica, interrogata da questi contrasti racconta  che si tratta della solita disparità tra gestione statale e gestione privata, finanziata da famiglie abbienti. 

Eppure questa spiegazione non basta più se si leggono correttamente i numeri e le ragioni più profonde  che sono all’origine di tale discriminazione.

“Il COVID ha dimostrato che la scuola pubblica statale che costa 8.500 euro non è ripartita per tutti, essendo privata dell’autonomia. La scuola pubblica paritaria che costa dai 3.500 (per la scuola dell’Infanzia) ai 5.500 euro (per la scuola secondaria di II grado), non solo ha inaugurato il nuovo anno scolastico ma ha già vissuto il primo mese di didattica in presenza di tutti gli studenti e le studentesse. Evidentemente occorre spendere meglio questi danari, in un processo virtuoso fra scuole pubbliche statali e paritarie, entrambe di qualità, sotto lo sguardo garante dello Stato.”

“Occorre rivedere immediatamente le strategie di finanziamento del sistema scolastico italiano cessando ogni discriminazione fra ricco e povero, consentendo alle famiglie di poter scegliere fra una buona scuola pubblica statale e paritaria a costo zero avendo già pagato le tasse…Il sistema scolastico  in Italia risulta essere bloccato, purtroppo da troppo tempo, in una stagnante incompiutezza tra Autonomia, Parità e Libertà di scelta educativa.” (Comunicato USMI, CISM del 20 ottobre 2020).

Incompiutezza riprovata nelle stesse normative vigenti, a partire dai fondamenti dell’autonomia. L’autonomia delle scuole italiane è ridotta a deleghe minimali agli istituti per gli aspetti secondari e più spinosi, senza risorse a disposizione; mentre la legge istitutiva stabiliva che: “L’autonomia didattica è finalizzata al rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere (legge 59, 1997, art 21,9).    

La libertà di insegnamento dei docenti è stata esasperata dal corporativismo per cui da decenni i docenti non sono obbligati alla formazione in servizio, pur lavorando nell’istituzione che dovrebbe garantire le conoscenze più aggiornate.

La libertà di scelta educativa delle famiglie negli organi collegiali  di partecipazione è pressoché annullata dalla stragrande maggioranza assicurata per legge  ai rappresentanti del personale. La scelta della scuola paritaria, poi, è ostacolata da rette, inaccessibili ai meno abbienti, rette inesistenti nei Paesi democratici avanzati.

Il diritto ad apprendere diventa semplicemente l’obbligo ad un’istruzione, senza garanzie di qualità, largita da chiunque e comunque. La “continuità educativa” per gli allievi, ad esempio, sarebbe assicurata in ogni caso, anche da decine di docenti che si succedono nel corso dello stesso anno scolastico.

Diventano, così, sempre più evidenti le disfunzioni e le carenze tipiche di ogni monopolio, come è quello della scuola statale italiana, governata ancora da logiche dell’ottocento, ispirate dal centralismo burocratico più puntiglioso e da un corporativismo sempre più pretenzioso e invadente.

Eppure non mancherebbero gli anticorpi a questo stato di cose come la partecipazione di genitori e studenti, i patti di corresponsabilità educativa ed anche i patti educativi di comunità, questi ultimi rilanciati dallo stesso Ministero per far fronte alla pandemia in atto. Anticorpi che richiedono di non essere vanificati dalle formalità burocratiche, e dalle invadenze sindacali, indifferenti alla qualità dei risultati nel migliorare l’offerta formativa.

A questo fine ci può essere di monito lo stesso Papa Francesco che invoca: “Un Patto educativo globale di cui il mondo ha urgente bisogno, … che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature … con il mettere al centro di ogni processo educativo formale e informale la persona, il suo valore, la sua dignità … ascoltare la voce di bambini, dei ragazzi e dei giovani, …vedere nella famiglia il primo e indispensabile soggetto educatore”. (dal videomessaggio del Papa ai lavori del convegno sul “Global Compact on Education”, Patto Globale per l’Educazione).

Giuseppe Richiedei

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