Categorie: Formazione iniziale

La scuola tra “rinuncianesimo” e inutilità

Repubblica intervista lo scrittore che spiega subito perché la scuola non può più servire a risolvere tutte le contraddizioni della società: “Bisogna uscire da questa logica utilitaristica: la scuola non deve soltanto “servire”, alla stregua di una chiave inglese. Bisogna tornare a quello che c’è dentro la scuola”. E cioè “cultura. E la cultura contiene il verbo “coltivare”: le nozioni, certo, ma anche la convivenza, oltre a una lettura del mondo. Non a caso, la scuola è il nostro primo – e forse ultimo – luogo di aggregazione, comunità, condivisione. E quindi è indispensabile in un’epoca di profonde solitudini come la nostra”.
E invece, spiega l’autore del libro, la scuola italiana deve affrontare il fenomeno del «rinuncianesimo», che è “una parola tremenda e bellissima, a metà tra ideologia e religione. Risuona quasi come un atto di fede, ma purtroppo è una mesta chiave per capire che cosa sta succedendo alla scuola italiana: da un lato, gli studenti tendono sempre più a “disarmarsi”, a rinunciare ad aggredire la vita quotidiana. Dall’altro, considerano gli insegnanti degli impiegati statali e fannulloni. I quali, bisogna dirlo, a volte si attaccano conservativamente al vecchio mondo. E così perdono autorità”.
E infatti “Come il “Padre padrone”, non esiste più il “maestro Manzi”. Oggi, l’unica cosa che può fare un padre è testimoniare la propria paternità. E l’unica cosa che può fare un insegnante, di fronte al discredito collettivo, è dare testimonianza di sé, plasmando l’istruzione con entusiasmo e metodi concreti, alternativi alla tradizione. Come diceva Hannah Arendt, del resto: “L’insegnante è il testimone del mondo”. Ma qui c’è un ulteriore passaggio fondamentale”.
“L’insegnante è parte integrante dello Stato. E lo Stato deve aiutarlo a restituirgli quell’autorità: dall’immaginario collettivo ai compensi, fino all’agibilità degli edifici. Un insegnante deve avere le spalle coperte. Da solo non ce la può fare”.
In più, spiega Bajani, “è inquietante che le riforme degli ultimi anni siano state tutte dettate da esigenze economiche e dai numeri più che da un nuovo approccio pedagogico o di insegnamento”.
Da qui l’esigenza per lo scrittore di ripartire dalle “parole”, perché “solo le parole possono salvarci. I ragazzi dei miei seminari li lascio sbizzarrire con neologismi perché diano un nome alle cose, che così escono dal buio e diventano conoscibili. È una delle grandi sfide: insegnare agli studenti come farsi certe domande e scegliere, per dare una forma al mondo. Soprattutto nel magma di Internet, dove hanno a disposizione tutta l’informazione possibile. Che però, senza il filtro della scuola, è merce senza valore”.

Pasquale Almirante

Articoli recenti

Cellulari scuola; Nocera: “E’ giusto aver salvato dal divieto gli alunni con disabilità”

Dal professore Salvatore Nocera, uno dei massimi esperti italiani di inclusione e disabilità riceviamo e…

17/07/2024

Concorso DS 2017, molti partecipanti ancora in ballo 7 anni dopo

Penso che sia utille per tutti sapere qualcosa di più sulle vicende giudiziarie che hanno…

17/07/2024

Decreto scuola: Paola Frassinetti (FdI) e Rossano Sasso (Lega) entusiasti, ma le proteste non mancano

Mentre proseguono le proteste delle opposizioni e di movimenti e comitati contro le diverse misure…

17/07/2024

Flavio Briatore sugli stipendi: “Come fanno vivere le famiglie con 4000 euro al mese? Bisogna aumentare i salari”

Flavio Briatore, ospite del podcast di Fabio Rovazzi e di Marco Mazzoli, 2046, ha affrontato vari…

17/07/2024

Nuove regole per promuovere l’inclusione degli alunni stranieri

Il governo nel presentare il decreto n° 71 del 30 maggio 2024 alla camera, nel…

17/07/2024

Falso allarme Covid scuola: condannato il docente

Nel 2020, un docente di un istituto di Pescara aveva lanciato un allarme infondato circa…

17/07/2024