Anche l’Anief si fa sentire per la riduzione di quasi 1.400 insegnanti, in vista del prossimo anno scolastico, a fronte di una popolazione scolastica italiana che complessivamente aumenterà di circa 34mila alunni. “È una realtà dura da accettare, peggiore di quella denunciata dall’Anief a partire dallo scorso mese di marzo. Rispetto a quanto avevamo preventivato, infatti, la quantità del corpo insegnante verrà ritoccata. Ma anziché in positivo, di alcune migliaia di unità, come la logica avrebbe voluto per sopperire all’aumento consistente di alunni, siamo qui a commentare il suo ridimensionamento”.
“Si tratta di un controsenso che si commenta da solo – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir -. Soprattutto perché il Governo aveva promesso un’inversione di tendenza, confermata negli ultimi giorni con la fine delle deroghe al mantenimento in servizio oltre l’età per andare in pensione. Questo provvedimento, infatti, permetterà di agevolare quel ricambio generazionale indispensabile per rilanciare l’offerta dei nostri servizi pubblici, oltre che a ridurre l’età anagrafica media dei dipendenti della PA ormai ampiamente sopra i 50 anni. E nella scuola potrebbe anche permettere di risolvere, una volta per tutte, la questione dei Quota 96, rimasti in servizio per un dimenticanza nella riforma pensionistica Monti-Fornero. Ma ora arriva questa ‘doccia fredda’ che non ci voleva proprio”.
A rendere ancora più paradossale la decisione di ridurre gli insegnanti è anche l’incremento sul lungo termine: la quantità complessiva di iscritti in più nel scuole pubbliche degli ultimi tre anni supera infatti quota 87mila. Tanto è vero che anche le Regioni, l’ultima è stata il Piemonte, stanno in questi giorni chiedendo al Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, di incrementare il numero di docenti perché “la riduzione degli organici per le scuole superiori e serali, se confermata risulterebbe insostenibile per il sistema scolastico regionale”.
“Il problema del sottodimensionamento degli organici dei docenti – continua Pacifico – attraversa tutte le aree del Paese, al Nord come al Centro, al Sud e nelle Isole. Va ricordato, infatti, che anche se negli ultimi anni il saldo demografico del Meridione è in negativo, la quantità di giovani che in queste zone lasciano i banchi prima del tempo e vanno ad ingrossare la categoria dei Neet è altissima”.
Solo per rimanere ai dati ufficiali sull’abbandono scolastico, i numeri ci dicono che rimane fermo al 24,8% in Sicilia e Sardegna, al 21,8% in Campania, al 19,7% in Puglia. La media nazionale di alunni che lasciano banchi e libri prima dei 16 anni è invece del 17,6%, mentre nell’Unione europea scende al 12,7%. È le indicazioni che arrivano da Bruxelles sono di arrivare al 10% entro il 2020. Il dislivello è evidente anche in altri contesti scolastici, ad iniziare da quelli della prima infanzia: solo il 2,5% dei bambini fino a 3 anni fruisce di un nido in Calabria, mentre in Emilia Romagna sono il 26,5% e in Europa uno su tre. Per i Neet, invece, ci sono realtà territoriali che indicano in questa indicano in questa condizione di non studio-lavoro un giovane su due.
“In queste condizioni è evidente che occorre istituire, se si vuole invertire il trend, degli organici differenziati, con maggiorazioni previste proprio laddove le scuole sono più a rischio dispersione di alunni. Se si vuole veramente far diventare la scuola il volano per rilanciare il Paese – conclude il sindacalista Anief-Confedir – non ci sono altre possibilità”.
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