Sarebbero in aumento le famiglie che hanno scelto di non mandare i figli a scuola, preferendo ”homeschooling.
Se gli homeschoolers in Europa è illegale in 23 in Paesi, ma nel Regno Unito è particolarmente diffuso: si stima che, nella sola Inghilterra, nel 2014 ci fossero 27 mila “homeschoolers”, mentre in Francia sono circa 3 mila, in Spagna 2 mila e in Italia gli alunni che lo frequentano lo scorso anno erano 945: per la precisione: 307 nella scuola primaria, 638 nella secondaria di I grado.
Interessante notare quanto sia disomogenea la distribuzione del fenomeno sul territorio nazionale: si passa dalla punta massima di 255 alunni in Sicilia alle cifre minime di Molise (2) e Basilicata (3). Seconda alla Sicilia è un’altra regione meridionale, la Campania, con 127 alunni che studiano a casa. Seguono, a una certa distanza, Lombardia (81) e Lazio (73).
In Italia, riporta Il Redattore Sociale, l’homescholing, comunemente tradotto con “istruzione familiare” o “parentale”, è prevista dalla Costituzione: l’articolo 34 dispone infatti che “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, ma non specifica che debba essere impartita dalla scuola. E l’articolo 30 sancisce il “dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli”, anche qui però senza imporre la frequenza scolastica. I dirigenti scolastici sono tuttavia tenuti a vigilare e monitorare l’adempimento dell’obbligo di istruzione, in cui chiarisce alcuni passaggi fondamentali per il corretto svolgimento di questa pratica educativa: primo, i genitori devono comunicare la propria scelta di istruzione parentale ogni anno, tramite comunicazione alla scuola di pertinenza; secondo, tale scuola diventa “vigilante sull’adempimento dell’obbligo” e invia comunicazione al Comune; terzo, “i familiari ogni anno sottopongono il proprio figlio all’esame di idoneità presso una scuola statale o paritaria”.
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Se però, scrive sempre Il Redattore Sociale, da un lato una nota del Miur parla di esami di verifica, dall’altro non c’è alcuna legge nazionale che stabilisca questo obbligo. E così siamo di fronte a due interpretazioni contrastanti rispetto al presunto obbligo di esami: da una parte il Miur che ribadisce il dovere delle famiglie di far presentare i figli all’esame di idoneità annuale, perché sia verificato l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione; dall’altra le famiglie, che rivendicano la propria libertà di scelta e il diritto di “autocertificare” le competenze acquisite dai figli. Così, alcuni agli esami si presentano, altri no. Quanti esattamente non si sa, perché a questa domanda il Miur risponde che “non esistono dati su quanti siano i ragazzi in istruzione parentale che si presentano, di anno in anno, agli esami d’idoneità o di licenza.
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