Quando, si legge su Tempi.it, nel 2001, Silvio Berlusconi in campagna elettorale lanciò le «tre i», da sinistra si parlò di «una visione mercantile oltre che liberistica» in cui la scuola è concepita «con il rispetto per i pizzicagnoli, come una piccola bottega».
E quando Letizia Moratti, allora ministro dell’Istruzione, andò ad esprimere, nell’agosto di quell’anno, proprio al meeting di Cl (come Stefania Giannini due giorni fa) la visione del governo appena nato si scatenò il coro: «La Moratti ha in mente una scuola-azienda, che vende l’istruzione come una merce, con dei professori trasformati in piazzisti» (Cobas); e ancora furore distruttivo della Moratti» (Ruffolo, Ds); per non parlare del «sistema ferocemente di classe» (Rizzo, Rc).
Uguale sparo di bombarde, sottolinea Tempi, quando il governo indisse gli «Stati Generali della scuola», con l’intenzione di creare un momento di dialogo con tutte le associazioni rappresentative dell’universo educativo, per raccogliere istanze ed esprimere la linea di riforma.
Trincee anche nel 2008, quando la coalizione berlusconiana tornò al governo dopo un anno e mezzo all’opposizione. All’approvazione del Decreto Gelmini la mobilitazione non si fece attendere e spararono i sindacati, Pd, sinistra radicale e spuntò anche Beppe Grillo, cercando di mettersi alla testa di un corteo a Bologna. Un mare di pregiudizi, dice Tempi.it, e di tempo perso, il cui prezzo più alto è stato pagato proprio dagli studenti.
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