Se l’ex premier ed ex segretario del Pd, Matteo Ranzi, a “Che tempo che fa”, dichiara che la scissione è un ”disegno già scritto, ideato e prodotto da Massimo D’Alema”, gli scissionisti, ex Pd e ora Dp, lanciano un messaggio: “Il Pd non è più di centrosinistra, ora lo possiamo dire, liberi dalla disciplina di partito”.
Intanto, scrivono le agenzie, forse non hanno stabilito neanche il nome: per evitare il temuto acronimo Dp, che ricorda l’antica Democrazia proletaria, si pensa a Mdp, Movimento democratici e progressisti, mentre ci sarebbe pure l’idea di chiamarsi Articolo 1, col richiamo a quella Costituzione che la maggior parte dei presenti ha difeso votando No nel referendum del 4 dicembre.
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Intanto, “le tre fratture” dalle quali nasce la scissione democratica, sono sul lavoro, la scuola e l’ambiente: “L’unico modo per arginare l’onda populista è quello di tornare a essere popolari”. La formazione nasce per ora con numeri incerti in Parlamento “ma contiamo di arrivare a una cinquantina fra deputati e senatori”, garantisce il bersaniano di ritorno Alfredo D’Attorre, reduce da una scissione in anticipo sui suoi ex compagni, dato che ha vissuto per un po’ in Sinistra italiana e oggi giura: “Sinistra italiana è qui, qui c’è l’attuazione della promessa del Quirino”.
I capigruppo dovrebbero essere Doris Lo Moro al Senato e Roberto Speranza alla Camera.
Nel documento si parla di “movimento aperto, non un partito”.
“Oggi è una bella giornata per la ricostruzione culturale, politica e di classi dirigenti della sinistra. Sedi strutturate di confronto programmatico a partire dai tre grandi temi indicati da Roberto Speranza: lavoro, scuola, ambiente”. Che equivale a dire le assi portanti della Nazione. Ma la domanda è sempre la stessa: se in tanti anni, da decenni e decenni, nonostante si dica che i problemi siano: lavoro, istruzione e ambiente, nessuno è riuscito a risolverli, saranno in grado questi transfughi a porvi rimedio? E ancora: dove sono stati, in tanti anni, nascosti costoro?