Piuttosto che chiudere le scuole del nord, per mancanza di personale, è meglio che si incentivino i prof meridionali a fare le valige e salire su, fra le brume padane.
Invece di rimanere eterni precari al sud, meglio di ruolo al nord, con uno stipendio: il ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara, ne lancia un’altra per giustificare non solo l’autonomia differenziata ma anche le evidenti disparità occupazionali fra le due Italie. Aveva già dichiarato, in altre occasioni, che sarebbe opportuno pagare meglio i docenti del nord, non per incentivare i giovani a scegliere questo mestiere, ma perché da quelle parti la vita è più cara e dunque bisogna stipendiare meglio quei prof, recuperando così e gabbie salariali che le lotte sindacali degli anni Sessanta smantellarono.
Ma riconferma pure il progetto leghista di dare più potere alle Regioni nell’organizzazione scolastica e dunque nella pianificazione e nella costruzione dell’offerta formativa, cosicché si rinnova il sospetto che la patria dei patrioti verrebbe frazionata anche a partire dall’istruzione, oltre che dal lavoro, dall’economia, dalla ricchezza, dalle infrastrutture, dalla viabilità, dalla salute ecc. ecc.
E per meglio avvalorare la sua proposta, annuncia incentivi per chi migra in Padania, promettendo alloggi meno cari e bonus per ambientarsi. In pratica chi vuole lavorare deve lasciare baracche e burattini nella propria casa meridionale, prendere l’aereo e sbarcare al nord.
Non fa un solo accenno inoltre per cercare di capire il motivo di tanta differenza di posti, di tanta distanza di richiesta lavorativa, né perché al sud ci sia tanto precariato, insieme a sacche enormi di disoccupazione, contrariamente al nord dove addirittura le scuole rischiano di chiudere per mancanza di insegnanti.
Eppure il numero di laureati è più numeroso al nord, come le facoltà più efficienti e frequentate insieme alla ricerca e alla opportunità culturali.
Né propone il ministro, di un governo che ha puntato sul merito e contro le disparità e la povertà, una qualunque ricetta per fermare l’emorragia migratoria dei laureati, dei cosiddetti cervelli, anzi la dà quasi per scontata e come una sorte ineluttabile, un destino inevitabile. Ma uscendo loro, al sud chi rimane?
E infatti il ragionamento più semplice è quello secondo il quale l’unica prospettiva di mercato possibile e percorribile rimane l’esodo dei nostri prof al nord, se non vogliono la disoccupazione e il precariato.
Ci pare in qualche modo una sorta di ritorno al passato, a quei primi anni Sessanta quando treni interi carichi di lavoratori del sud arrancavano nelle fabbriche del nord per arricchirlo.
Allora era manodopera che migrava, ora si tratterebbe di intellettuali, di docenti ai quali si propone, non il lavoro nella loro terra, nelle loro case, accanto agli affetti, ma una valigia, senza spago questa volta, in terra del nord, nella Padania felix. E con incentivi, però, mentre un tempo nemmeno si affittava ai meridionali
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