Riprendiamo una non recente indagine de “La voce.info” sulla “overeducated”, a seguito della pubblicazione dei giorni scorsi dell’indagine del Censis sulla scuola e sulla sua presunta incapacità a promuovere il miglioramento sociale di molta parte dei suoi alunni. Fra i dati esaminati dal Censis c’è infatti pure quello relativo alla “sovraistruzione”. Si legge nel rapporto: “Il fenomeno dell’«overeducation» nel mercato del lavoro riguarda sia le lauree considerate deboli, come quelle in scienze sociali e umanistiche (43,7%), sia le lauree ritenute più forti, come quelle in scienze economiche e statistiche (57,3%), e tocca anche un ingegnere su tre”. In pratica “sono aumentati del 32,7% i diplomati e del 36,6% i laureati occupati in professioni che richiedono bassi livelli di istruzione.
Secondo La Voce, l’Italia, oltre a essere molto al di sotto degli obiettivi di Lisbona, Europa 2020, sul livello di istruzione complessivi, sia alla secondaria superiore che inferiore, primeggia nel fenomeno della sovraistruzione, che si verifica quando un laureato lavora come diplomato.
Fenomeno poco considerato, ma assai importante anche perché ha un suo costo, essendo una forma di spreco di capitale umano per l’individuo, la famiglia, l’università e la società nel suo complesso.
L’overeducation si verifica quando il titolo di studio non è stato necessario per acquisire il posto di lavoro, mentre l’overskilling si verifica quando le competenze acquisite nel percorso di studio non sono utili allo svolgimento del proprio lavoro.
L’overeducation e l’overskilling non denotano necessariamente troppo capitale umano, ma esattamente il contrario. Per capire l’arcano, va considerato che il capitale umano è costituito non solo dall’istruzione, ma anche dall’esperienza lavorativa generica, cioè trasferibile da un lavoro all’altro, e specifica, cioè acquisibile solo in un certo tipo di posto di lavoro.
Il punto è che i nostri laureati hanno molte conoscenze teoriche, ma poche competenze pratiche, ciò che li spinge a lavorare in posti di lavoro che non utilizzano neppure le loro competenze teoriche.
Le donne, scrive sempre La Voce.info, sono più spesso overeducated/overskilled, perché scelgono in prevalenza lauree che hanno un maggior rischio di overeducation.
Il background familiare caratterizzato da un livello di istruzione basso aumenta il rischio di overeducation, suggerendo che il nostro sistema, all’apparenza aperto a tutti, in realtà tende a perpetuare la struttura sociale esistente.
Un overeducated/overskilled guadagna fra il 15 e il 25 per cento meno della media dei laureati, proprio perché lavora in un posto per diplomato e usa poco le competenze acquisite all’università. Se si controlla per le caratteristiche osservate dei laureati, la penalità salariale scende al 12 per cento per l’overeducation e al 7 per cento circa per l’overskilling. Ciò conferma che i sovraistruiti hanno caratteristiche del capitale umano inferiori alla media. E spiega in parte perché guadagnano meno degli altri laureati.
Quanto ai rimedi, spiega La Voce.info, vanno considerati sia quelli dal lato della domanda sia quelli dal lato dell’offerta di capitale umano.
Dal lato della domanda, è evidente che se ci fosse un tipo di sviluppo economico più orientato a produzioni che usano lavoro ad alta qualifica, la domanda di lavoro per i laureati sarebbe più alta, riducendo la quota degli overeducated/overskilled.
Ma per aumentare la domanda occorre anche aumentare l’offerta di capitale umano: lo sviluppo tecnologico a favore delle alte qualifiche è endogeno e si sviluppa quando il capitale umano è abbondante e perciò a buon mercato.
Dal punto di vista dell’offerta c’è la necessità di intervenire sia sulle istituzioni che regolamentano la transizione scuola-lavoro sia sulle caratteristiche individuali dei giovani.
In primo luogo, occorre aumentare la qualità dell’istruzione terziaria e del capitale umano in generale. Non è sufficiente aumentare la percentuale di laureati se questi hanno poi competenze poco collegate al mondo del lavoro.
Occorre, puntualizza La Voce, rilanciare il percorso del 3+2, con una laurea triennale generalista, orientata al lavoro, con percorsi anche di formazione in azienda, e pieno riconoscimento del titolo di studio nel mondo del lavoro.
Invece, il biennio deve essere fortemente specialistico e consentire percorsi di alto profilo, ma pur sempre con formazione in azienda, quando il corso di laurea non è strettamente rivolto alla formazione accademica.
Per coloro che sono fuoricorso oppure abbandonano il percorso universitario principale, bisogna fornire la possibilità dell’università professionalizzante, come in Germania.
In secondo luogo, occorre migliorare l’attività di orientamento nella scelta degli studi in tutte le fasi del percorso universitario, sia prima, che durante e dopo. Nella fase post-lauream, occorre incentivare l’utilizzo delle competenze teoriche acquisite. Uno strumento potrebbe essere l’apprendistato per l’alta formazione, previsto dal Testo unico del 2011.
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