Come spesso accade anche questa volta è capitato che la mano destra non sapeva ciò che la sinistra stava facendo.
Non si spiega altrimenti il palese contrasto fra quanto hanno scritto i “10 saggi” nel documento che hanno presentato al presidente Napolitano e quanto i ministri economici del Governo ancora in carica hanno previsto nel DEF (Documento di economia e finanza) per il 2013.
Da un lato i saggi hanno sottolineato per l’ennesima volta quanto il tema dell’istruzione debba essere considerato prioritario.
Nelle tre paginette dedicate alla scuola la questione viene affrontata in termini forse persino troppo economici fino ad arrivare sostenere che bisogna spendere in istruzione per poter risparmiare in sanità, quasi che l’educazione dei giovani possa essere intesa come un problema di investimento economico e basta. Insomma una specie di “start-up” per poter mettere in piedi una attività economica.
Peccato che il DEF mette in evidenza uno scenario completamente diverso.
La sintetica tabella in cui vengono riportate le previsioni di spesa pubblica fino al 2060 non lascia spazio ad equivoci: nel 2010 la spesa per l’istruzione (scuola dell’infanzia esclusa) è stata pari al 4% del PIL, ma nel 2015 scenderà al 3,6% (“per effetto delle misure di contenimento delle spese di personale”, si legge nella relazione tecnica) e calerà addirittura al 3,4% nel 2020. Di lì in poi la spesa si assesterà tra il 3,3 e il 3,4%.
La situazione economica è grave, lo sappiamo benissimo, ma forse un po’ di chiarezza non guasterebbe: se la spesa per l’istruzione deve continuare a calare basta dirlo e smetterla di parlare di valorizzazione dei docenti, della scuola, dei processi formativi e compagnia bella.