Nell’ultimo quinquennio di passione, specifica Il Sole 24 Ore, la Grecia ha ridotto la spesa pubblica (al netto degli interessi) di un terzo, 29 miliardi, portandola in totale a poco più di 72. L’Irlanda l’ha tagliata di 5,5 facendola scendere a 57,7. Il Portogallo di 2,9 per arrivare a 69,5. La Spagna di 9,1 per toccare i 395 miliardi in tutto. L’Italia invece non solo non ha provato a contenerla ma l’ha addirittura aumentata: di 12,5 miliardi portandola poco sopra i 664 miliardi. Per la verità la Francia ha fatto anche di meglio correndo in controtendenza, con un incremento da 103,2 miliardi per un totale di 1.046: +11% contro il 2 italiano.
Parallelamente e inevitabilmente, viste le costrizioni Ue sul deficit, il carico fiscale non poteva che lievitare. E infatti in Italia è cresciuto di 45 miliardi, il triplo rispetto alla Spagna ma meno di un terzo rispetto alla Francia (+157).
Negli ultimi 5 anni da Atene a Lisbona, da Dublino a Madrid sanità, istruzione, protezioni sociali si sono più o meno drasticamente assottigliate contestualmente al crollo degli investimenti pubblici, dimezzati in Grecia e Irlanda, quasi in Portogallo e precipitati a meno di un terzo in Spagna.
Tolto quest’ultimo capitolo di spesa smagrito di oltre il 25%, e tolta la riforma delle pensioni (con la sua coda di costi non previsti dovuti al grande pasticcio degli esodati), l’Italia si è divincolata finora dalla stretta europea impartita alle economie in crisi, ritoccando alcune voci ma puntando più alla stabilizzazione che alla riduzione del settore.
La Francia ha continuato a stare su un altro pianeta, aumentando metodicamente tutte le voci di spesa, investimenti compresi. E comprese anche le retribuzioni degli impiegati pubblici. Che invece sono calate dovunque insieme agli organici: dal picco del 30% per salari e occupati in Grecia, al 20% in Spagna e Portogallo, al 10% in Irlanda. L’Italia si è fermata intorno allo 0,4% per i salari e allo 0,7 per i dipendenti.
l’Italia tuttavia, al contrario della Francia, possiede il settore pubblico più inefficiente della zona euro ora che la Grecia sta risalendo la china.
Negli ultimi 20 anni la Svezia, economia sana e dinamica del Nord, non solo ha ridotto il pubblico impiego da 600mila a 200mila unità decentrando, privatizzando e deregolamentando ma ha contestualmente imposto la regola del taglio dei costi dell’1,5% annuo.
Per questo, sottolinea il giornale della Confindustria, invece di lamentarsi delle critiche di Bruxelles, sarebbe ora che dimostrasse nei fatti che l’Europa si sbaglia a dubitare della volontà riformatrice del Governo. Sarebbe l’unico modo efficace per far muovere non un incerto venticello ma una ripresa economica solida e duratura. E anche il solo modo per non diventare presto l’unico anello debole dell’euro.
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