Attualità

La storia (dimenticata) dei canali di Bologna: una curiosità per studenti e docenti

Gli splendidi canali di Bologna, linee di luce che tracciano panorami urbani particolari, suggestivi corsi d’acqua che riaffiorano dalle profondità cittadine e catturano la curiosità di chi li scopre. La chiusa di Casalecchio, la finestrella di Via Piella, la Grada, la Salara, raccontano oggi un passato nascosto che sembra ancora nutrire la città.

Sapevate infatti che i canali di Bologna raccontano un passato molto interessante e ancora poco conosciuto? Che hanno fatto di Bologna una città d’acqua all’avanguardia, al centro di una piccola rivoluzione industriale, peraltro ecologica?

Uno dei simboli di Bologna infatti è il Nettuno, ovvero il dio delle acque correnti, rappresentato in città dalla statua del Nettuno del Giambologna terminata nel 1566.

La storia è questa: alla fine del 1100 i bolognesi costruirono due grosse dighe – una sul Savena e una sul Reno – per portare acqua in città. L’acqua serviva principalmente per il fossato delle mura, e dunque per proteggersi dagli attacchi dell’Imperatore Federico Barbarossa. Dopo duecento anni però la città, grazie all’Università e alla fitta rete commerciale, era cresciuta notevolmente e il comune decise di costruite nuove mura, prive di fossato, che ampliavano il tessuto urbano di ben 5 volte.

Nel centro cittadino rimanevano dunque condotte di acqua che potevano essere utilizzate dalla cittadinanza. Come? Acqua nel Trecento voleva dire energia: per i mulini che aumentarono a dismisura e servivano per lavorare la farina certo, ma anche per pressare la carta o le olive, per forgiare i metalli o la polvere da sparo, ma sopratutto per la torcitura e la filatura della seta. La preziosissima seta.

Grazie a innovazioni tecnologiche, come le ruote a cassetto, i condotti a chiave o i mulini da seta bolognesi, le officine moltiplicarono la loro produttività, rendendo Bologna una ricca capitale di questo tessuto prezioso e richiesto. Opifici, concerie, tintorie e cartiere, popolavano la “Manhattan del Medioevo” che contava più 100 grattacieli, le famose case-torri della nobili e potenti famiglie, e circa sessantamila abitanti (dei quali più di ventimila impegnati in questo indotto).

Un piccola comunità dell’entroterra, che aveva cercato l’acqua per difendersi dagli attacchi imperiali e dalle scorribande, era diventata una città d’acqua, una piccola Venezia con ponti, marinai, canali e perfino un porto che permetteva di navigare fino al mare.

Una piccola rivoluzione industriale ecologica che anticipò quello che sarebbe successo in Inghilterra nel secolo successivo. Frutto della capacità di una comune dinamico di sfruttare le risorse a disposizione, del sapere proveniente dall’Università, dell’abilità delle botteghe e delle maestranze, complice una politica medioevale lungimirante e coraggiosa.

Oltre a rappresentare oggi un patrimonio culturale e turistico non indifferente, i canali di Bologna raccontano una storia fatta di innovazione che ha non smette mai di stupirci.

Dario De Santis

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