Sta raccogliendo un grande seguito dal mondo della cultura l’appello-manifesto lanciato dallo storico Andrea Giardina, dalla senatrice vita Liliana Segre e dallo scrittore Andrea Camilleri per ridare dignità nelle scuole alla storia, messa ai margini anche nell’esame di maturità: “La Storia è un bene comune”, si intitola il Manifesto, che punta il dito sulla scarsa attenzione del Miur verso la promozione della disciplina scolastica.
Secondo i promotori dell’iniziativa, appoggiata da “Repubblica”, la conoscenza della storia “è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione”.
Con il manifesto si chiede di ripristinare la traccia di Storia all’esame di maturità, di non diminuire le ore di insegnamento nelle scuole e di non trascurare l’insegnamento universitario della disciplina.
“Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali – scrivono Giardina, Segre e Camilleri – per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese”.
Nel manifesto si fa notare come “la comunicazione semplificata tipica dei social media fa nascere la figura del contro-esperto che rappresenta una presunta opinione del popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a giacimenti di verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero per proteggere interessi e privilegi”.
Per i fautori dell’iniziativa, “i pericoli sono sotto gli occhi di tutti: si negano fatti ampiamente documentati; si costruiscono fantasiose contro-storie; si resuscitano ideologie funeste in nome della deideologizzazione. Ciò nonostante, queste stesse distorsioni celano un bisogno di storia e nascono anche da sensibilità autentiche, curiosità, desideri di esplorazione che non trovano appagamento altrove”.
“È necessario quindi – concludono – rafforzare l’impegno, rinnovare le parole, trovare vie di contatto, moltiplicare i luoghi di incontro per la trasmissione della conoscenza”.
In soli due giorni hanno aderito, scrive “Repubblica”, già un centinaio di intellettuali e cittadini del mondo della cultura.
“Dopo quelle, per citarne alcune, di Alberto Asor Rosa, Corrado Augias, Roberto Saviano, Michela Murgia, Guido Crainz, Gad Lerner, Benedetta Tobagi, Michele Mari, Giovanni De Luna, Stefano Massini, Eva Cantarella, Gustavo Zagrebelsky e Antonio Scurati, si aggiungono oggi, tra le altre, le adesioni di Ezio Bosso, Enzo Bianchi, Giordano Bruno Guerri, Carlo Petrini e Maurizio Landini, Carlo Feltrinelli, Carla Nespolo, Sandra Ferri e Stefano Mauri. C’è persino Elena Ferrante. Storici, scrittori, cattedratici, editori, archeologi, artisti, fumettisti: la lista con cui il mondo della cultura si mobilita è lunga. E aumenta di ora in ora”.
Il 28 aprile anche la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, ha sottoscritto l’appello: “Ignorare la nostra storia vuole dire smarrire noi stessi, la nostra nazione, l’Europa ed il mondo”, scrive su Twitter la leader della Cisl.
Per il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, però, si starebbe creando un falso problema: “La storia è una disciplina importantissima, che attraversa tutte le altre. E’ alla base della cittadinanza. Con il nuovo esame non si vuole assolutamente mortificarla o ridurne l’importanza”, ha scritto tempo fa il titolare del Miur sulla propria pagina Facebook.
In altre occasioni, comunque, lo stesso Bussetti ha ricordato che il progetto di revisione della disciplina storica non è stato avviato da questo Governo: un motivo in più, a nostro parere, per farci mettere mano dal legislatore.
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