Ci sono centinaia di migliaia di giovani adulti, inseriti legittimamente nelle graduatorie per l’insegnamento, plurititolati, abilitati e abilitandi con lunga esperienza didattica, ampiamente formati, già da anni in servizio su cattedre vacanti e disponibili, in attesa di essere definitivamente sistemati, così come impongono le direttive europee e ll recente jobs act governativo.
Sono una risorsa di qualità per il buon funzionamento della scuola e un validissimo sostegno alla sua emancipazione.
Un provvedimento di una loro immissione in ruolo,sebbene scaglionata nel tempo, oltre ad essere atto dovuto, naturale e giusto,
rispetterebbe il merito dei graduati acquisito non senza fatica nel corso della carriera, eliminerebbe la penosa liturgia dei concorsi ormai divenuti strumento di sperpero, di imbrogli e di contenzioso infinito, e si eviterebbero risibili selezioni a quiz per cui una crocetta potrebbe decidere del destino di una persona.
Il merito professionale va accertato sul lavoro dove l’attitudine all’esercizio della funzione, le competenze, l’impegno e tutte le altre qualità e capacità si vedono, si verificano e si certificano.
Inoltre,l’immissione in ruolo di questi giovani non graverebbe, a conti fatti, ulteriormente sulle finanze dello Stato e non necessiterebbe di un concorso tradizionale tant’è che il 50% dei docenti Gae ottiene un contratto a T.I. ope legis.
Allora perché non si opera in tal senso? Forse perche nelle teste dei nostri governanti da alcuni anni va in giro una favola virulenta del merito, di cui nessuno espone il significato, che incancrenisce perfino il buon senso, portando solo disordine e disorientamento nel mondo della scuola.
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