L’Italia è stata svenduta: lo afferma il giornalista Angelo Polimeno Bottai (vicedirettore del TG1) nel suo saggio “Alto tradimento. Privatizzazioni, DC, euro: misteri e nuove verità sulla svendita dell’Italia” (2019).
Nel libro si indagano le cause della situazione economica attuale del nostro Paese, 30 anni fa ricco e potente molto più di ora. Oggi il PIL diminuisce con tutti i governi, mentre il debito sale. Le imprese chiudono, il costo del lavoro aumenta, pensioni e salari sono da fame. Come mai?
“Ce lo chiede l’Europa”
Gran parte della responsabilità è europea. L’euro che abbiamo nelle tasche, infatti, non è quello previsto inizialmente da Maastricht: colpa del Patto di stabilità del 1997 (quando Presidente del Consiglio italiano era Romano Prodi), molto più rigido. L’opera è stata poi completata dal Fiscal Compact: il Patto di bilancio europeo che obbliga — con priorità assoluta — gli Stati membri a perseguire il pareggio di bilancio, contenendo il deficit e il debito pubblico senza mediazioni e senza possibilità per i governi di elaborare politiche economiche proprie (come gli Stati sovrani hanno sempre fatto). Il Trattato di Maastricht, invece, era più elastico, soprattutto in presenza di crisi straordinarie e di elevati tassi di disoccupazione e di disagio sociale.
Il Patto di stabilità non fu sottoposto in Italia a referendum come in altri Paesi UE. L’Italia vi aderì per un accordo politico tra gli allora capi di Governo europei (come lo stesso Prodi ha ammesso in un’intervista rilasciata all’Autore del libro).
Svendere lo Stato
Ma la debolezza dell’Italia nasce anche da un’altra scelta: la svendita dei “gioielli” dello Stato a seguito del terremoto giudiziario e politico avvenuto dal 1992 in poi, che vide Tangentopoli, la fine della DC e del PSI (gestori de facto del patrimonio pubblico rappresentato dall’IRI, che aveva portato l’Italia al quarto posto nel mondo tra le potenze industrializzate), le stragi di mafia, la nascita di Forza Italia, la cosiddetta “Seconda Repubblica”. Tutto ciò aveva creato un vuoto di potere, con conseguente vulnerabilità dell’Italia rispetto agli speculatori internazionali.
Su una nave in un dì di festa
Il 2 giugno 1992 attraccò a Civitavecchia la nave HMY Britannia, panfilo della famiglia reale britannica. Sul panfilo si svolse un convegno sulle privatizzazioni italiane. Vi parteciparono, tra gli altri, l’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi, Carlo Azeglio Ciampi (governatore della Banca d’Italia), dirigenti IRI, Beniamino Andreatta (dirigente ENI), insieme ad esponenti del mondo delle principali banche mondiali d’investimento. In seguito colossi italiani come la STET (da cui nacquero poi OMNITEL, TIM, TELECOM) furono ceduti per cifre irrisorie, permettendo agli acquirenti di rivenderle successivamente con margini di guadagno incredibili. Credito Italiano e Banca Commerciale furono ceduti dall’IRI (guidato da Prodi dal ’93 al ‘94) per l’1% del valore. L’Italia perse le sue ricchezze strutturali e strategiche, mentre qualcuno si arricchiva ed aumentava il proprio potere. Questa la tesi del saggio di Polimeno Bottai.
Comunque la si pensi, il libro — fondato su documenti messi a disposizione dell’Autore dal giurista Giuseppe Guarino, europeista convinto e ministro delle partecipazioni statali nel primo Governo Amato tra 1992 e 1993 — è fondamentale per vedere oltre l’informazione ufficiale mainstream.
Nostrani Robin Hood al contrario
Vero è che (grazie soprattutto ai governi di “centrosinistra”), negli anni ’90 autostrade, Banca d’Italia, ENI, Ferrovie dello Stato e Poste sono state trasformate in S.p.A. e (s)vendute al mondo della finanza. Risultato: treni disastrati, licenziati a migliaia, bollette energetiche e tariffe postali aumentate, pedaggi autostradali triplicati, ponti che crollano, debito pubblico triplicato, utili privati e costi pubblici. E tasse che non finanziano più gli stipendi dei dipendenti pubblici, ma le rendite degli azionisti privati. Meraviglie del neoliberismo reale.
La mannaia sulla Scuola
E la Scuola? Nel libro non se ne parla: eppure, ragionando alla luce di quanto sopra, qualche considerazione sulla politica scolastica degli ultimi 30 anni possiamo farla. La Scuola non fu privatizzata, ma ne fu privatizzato il rapporto di lavoro, inserendola nel Pubblico Impiego (D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) e facendola passare dalla giurisdizione basata su una normativa speciale di diritto pubblico a quella generale sottoposta al Codice Civile. Risultato: i docenti delle Scuole non sono più “di ruolo, ma a tempo indeterminato” (quindi licenziabili per esubero) e non più tutelati dal proprio stato giuridico. Fu imposta la “riconversione professionale”, ossia il passaggio forzato da materie in esubero ad altre analoghe (o diversissime) e su sostegno: cattedre alla stregua di pratiche cartacee. Iniziarono tagli, riconversioni e accorpamenti di classi di concorso, con grande spreco di professionalità acquisite. La dignità della Scuola veniva ferita. Il Preside diventava “datore di lavoro” (parabola che toccherà il suo culmine nel 2015 con le “riforme” del Governo Renzi chiamate “Buona Scuola”).
Oggi le Scuole sono aziende sul mercato, in competizione tra loro per accaparrarsi iscritti. Che ne pensano i nostri lettori? È lecito dire che anche la Scuola italiana è stata svenduta?