Indire ha realizzato un ricerca per valutare cosa succede quando una scuola intera utilizza in maniera sistematica le nuove tecnologie a scopo didattico, coinvolgendo almeno l’80% degli studenti, in tutte le discipline e per più del 50% delle ore, mettendo sotto osservazione 19 scuole superiori fra quelle aderenti al Movimento Avanguardie Educative e quelle che hanno ricevuto i finanziamenti di Scuole 2.0 e Classi 2.0, per un totale di 14.152 studenti e 1.273 docenti.
E sulla base dei risultati Indire, sembra proprio che la strada tecnologica sarebbe quella giusta perché: «diminuiscono le assenze, i drop out crollano, riducendosi di 2/3 rispetto alle medie delle province di riferimento, i risultati nelle prove Invalsi sono anche di 17 punti sopra il benchmark di riferimento nella provincia, gli insegnanti coinvolti in formazione sono più del doppio della media», dice Giovanni Biondi, presidente di Indire. Davanti a questi dati «possiamo dire la tecnologia fa bene alla scuola».
E infatti, nel dettaglio riportato dalla Vita.it, è venuto fuori che quasi tutti gli istituti considerati presentano complessivamente tassi di abbandono inferiori rispetto alle provincie di appartenenza. Nello specifico i tassi di abbandono si attestano in un range tra lo 0% e l’8%: l’obiettivo nazionale per il 2020 è arrivare al 15-16 % in Italia.
Ma calano anche le assenze, 15 ore in meno in un anno rispetto ai compagni delle scuole della stessa provincia. In generale le ore di assenza aumentano con il salire dell’età dei ragazzi, cosa che si verifica anche in queste scuole, ma cresce anche lo scostamento rispetto alla media: uno studente di quarta superiore che frequenta queste scuole, in sintesi, fa molte meno assenze dei suoi coetanei iscritti ad altre scuole e in proporzione è più assiduo alla frequenza anche rispetto a un suo compagno di prima.
Confrontando i risultati nelle prove standardizzate in italiano e matematica, sia rispetto alle scuole della stessa provincia sia rispetto alle scuole con il medesimo indice di stato socio-economico, quasi tutti gli istituti ottengono risultati superiori. In italiano il range varia da uno scarto di +1,8 a + 12,6 punti percentuali rispetto alle medie di scuole con medesimo ESCS, in matematica fra +0,1/+0,3 (quindi non significativo) e un + 17,1 punti percentuali.
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Guardando il numero di alunni del liceo che si iscrivono all’università, tranne per un caso, i tassi di immatricolazione degli studenti si situano tra il 60% e il 90%, a fronte di dati provinciali che si posizionano intorno al 50%. Significa che se la media della provincia è che solo un liceale su due va all’università, da queste scuole si iscrive all’Università almeno uno studente in più ogni 10 e alcune arrivano a mandarcene anche 9 su 10.
Per quanto riguarda invece l’inserimento nel mondo del lavoro dei ragazzi che frequentano istituti tecnici o professionali, le percentuali di inserimento vanno dal 38% al 70% nelle scuole del campione, mentre le medie provinciali si attestano intorno al 40%.
Queste scuole vivono la loro autonomia più delle altre: dichiarano di utilizzare le possibilità offerte della quota di flessibilità nell’orario curriculare e attraverso il 20% del curricolo di scuola in modo nettamente superiore rispetto a quanto riportano le scuole delle province di riferimento. Il 68% delle scuole del campione fa ampliamento dell’offerta formativa in orario curricolare, contro il 45% delle scuole della provincia.
E’ coinvolta nella formazione una percentuale di docenti che risulta essere quasi il doppio rispetto a quella delle scuole delle province di appartenenza: il 43% contro il 26%. Inoltre partecipano ad un alto numero di reti (5-6), spesso collaborano con Università di riferimento ed enti pubblici.