I lettori ci scrivono

La valutazione fa crescere i ragazzi…

L’insegnante non è una pietra, sempre uguale a se stesso, ma un essere vivo, fluido, in continua trasformazione. Per cui, se egli pone attenzione, empatica e scientifica, alla professione che svolge, non può non crescere, gradualmente, lui stesso, in competenza e metodo. E, se ne è predisposto, anche in creatività. Immensa, infatti, è la differenza di un insegnante, da quando muove i primi passi a quando completa (ma non termina!) la sua carriera.

Sono convinto che quasi cinque persone su dieci portano, nel segreto del loro cuore, dei traumi nascosti, dovuti alle umiliazioni ed alle incomprensioni inflitte dagli insegnanti agli alunni. E che ogni insegnante, a questo proposito, nasconde degli scheletri nell’armadio: alunni che non è riuscito a comprendere e valorizzare. Ma questa considerazione, dovrebbe rendere più attenti ed umani gli insegnanti, anziché inibirli. In quanto, la valutazione fa parte della loro professione, ed è proprio attraverso di essa, che possono fornire al discepolo una percezione più oggettiva di sé, spingendolo alla crescita mentale e personale. E quando sbagliano, gli insegnanti, possono ricorrere ad una salutare umiliazione, apportatrice di grande gioia: quella di chiedere scusa. Cosa che può essere fatta anche a distanza di tempo. Lo facessimo tutti: genitori, automobilisti, ingegneri, medici, sacerdoti operai …

Io, piuttosto, direi ai giovani che hanno subito umiliazioni: “Non temete i traumi della crescita”. Sono proprio essi che sviluppano, in noi, per reazione, delle energie insospettate. Ha scritto qualcuno: “I miei nemici sono i miei migliori alleati”. C’è, infatti, un dato professionale, dal quale non possiamo prescindere. Un insegnante, oltre che educatore ed esperto del sapere e della didattica, è anche uno che, per dovere professionale, è tenuto a valutare. E se non lo fa, è come un medico che rifiuta la diagnosi (e quindi la prognosi e la terapia). Per quanto sia impegnativo e logorante valutare, egli è chiamato a stimolare la crescita dell’alunno proprio attraverso la diagnosi cognitiva.

Oggi ci troviamo di fronte alla viltà di presidi e professori che affermano: “Chi siamo noi per valutare un ragazzo?” E magari, troviamo professori, che per paura di far del male (ai ragazzi ma soprattutto a se stessi) mettono a tutti lo stesso voto. Io rispondo: “Siamo dei professori e quindi dovremmo essere degli specialisti della valutazione, secondo variabili analitiche e specifiche nei riguardi delle prestazioni e, secondo un giudizio globale umano, valorizzante ed aperto al futuro. Cosa sarebbe un medico che si rifiutasse di fare diagnosi? Uno che non svolge la sua professione.

E cosa fa una maestra che di fronte ad un alunno, notoriamente carente, che esprime un concetto originale, magari in modo impacciato e frammentario, anziché dire: “Ecco l’asino della classe che raglia e che in una proposizione commette tre errori”, affermasse invece: “Devo confessarti che mi sei piaciuto, perché hai notato qualcosa alla quale nessuno dei tuoi compagni ha pensato!”? Questa maestra dimostrerebbe di possedere l’arte rara di far crescere, nella mente e nella personalità. Qualcosa d’impagabile nella costruzione di un uomo. Comunque, penso che qualche volta (e ciò vale anche per i genitori) si possa anche essere bruschi nel riprendere qualcuno, purché l’altro comprenda che lo stiamo facendo per il suo bene e si senta considerato ed amato …

Ma, alla fine, se l’insegnante è proteso, con caparbia professionale, alla correzione continua del suo metodo e delle sue strategie didattiche, riceve, come corona d’alloro, l’approvazione gratificante della sua coscienza. Ed, in questo caso, anche gli errori concorrono alla sua crescita.

Credo, infatti, che l’insegnamento, svolto con passione, sia una di quelle professioni che, alla fine della vita, ci consentono di pensare: “Sono felice per il lavoro che ho fatto!”.

Luciano Verdone

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