I lettori ci scrivono

La valutazione formativa non deve prescindere da quella sommativa

Gennaio: si avvicina il tempo degli scrutini.

Nella formulazione dei giudizi assume sempre maggior rilievo la valutazione formativa, soprattutto nel contesto della scuola primaria e della secondaria di primo grado.

Il passaggio progressivo da una valutazione meramente sommativa (basata sul risultato effettivamente conseguito) ad una valutazione formativa, si prefigge di superare il valore numerico del risultato e di analizzare il “percorso di crescita” del ragazzo, ponendo la valutazione in stretta e diretta relazione con il livello di partenza.

Ecco allora che non valuteremo più la “quantità” di risposte esatte ad un quesito o ad un compito, ma considereremo l’upgrade rispetto al punto di partenza, valorizzando il processo di apprendimento.

Risulta lodevole l’approccio ad una valutazione che non sia frustrante, demoralizzante e/o demotivante, ma occorre trovare (e non è facile) la giusta mediazione tra il valorizzare l’impegno e il rischio di esprimere una valutazione troppo distante dalle reali competenze dello studente.

Il rischio è che il “giusto premio” per un impegno encomiabile e meritevole finisca con l’occultare e non rivelare il reale valore del livello di preparazione dei ragazzi. Rimango sempre del parere che i genitori e gli studenti abbiano il “sacrosanto diritto” di conoscere la verità sulla reale entità e sul reale valore della preparazione scolastica conseguita.

Una valutazione formativa che non si confronti assolutamente con la valutazione sommativa, biasimandola o, peggio, abbandonandola tout court, può comportare l’espressione di valutazioni numeriche costantemente sufficienti, falsando, a volte abbondantemente oltre misura, il quadro reale del livello di preparazione dei ragazzi.

Il risultato rischia di essere quello di allontanarsi dalla realtà e di non esprimere una valutazione veritiera sulle competenze effettive dello studente, inibendo e frustrando, di fatto, le possibilità di crescita dello studente.

I ragazzi non sono ancora in grado di cogliere le sfumature di una sufficienza conseguita con il “vento a favore” della valutazione formativa. Per loro conseguire la sufficienza significa aver raggiunto il proprio obiettivo e non dover produrre alcun ulteriore impegno a livello didattico.

Occorrerebbe invece rivalutare e salvaguardare il socratico “So di non sapere”, indicato e valorizzato da secoli come uno degli stimolanti fondamenti della conoscenza. Se adeguatamente motivata, una valutazione non sufficiente chiarisce semplicemente allo studente la necessità di esprimere un maggiore impegno per migliorare le sue conoscenze e/o competenze. Una valutazione parzialmente negativa, ma veritiera, può rappresentare un ottimo punto di partenza per un’adeguata consapevolezza da parte dello studente, favorendo un migliore impegno e fornendo un prezioso incentivo per la sua crescita.

Un risultato positivo, senza che il ragazzo abbia la piena consapevolezza di evidenti lacune nel livello di preparazione, porterebbe a scarse motivazioni nel colmarle e nell’acquisire le necessarie competenze per affrontare le classi successive.

Non è casuale che i dati statistici evidenzino un’alta percentuale di insuccessi dopo la scuola dell’obbligo, fino all’abbandono scolastico in diversi casi.

Solo una valutazione che sappia esprimere onestamente e professionalmente la “verità”, in riferimento alle competenze e al grado di apprendimento, potrà costituire un importante punto di partenza da cui partire per migliorare e gettare le basi per un impegno più consapevole e responsabile, fondamenti essenziali per una effettiva… “crescita”.

Giancarlo Pennati

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