Ha generato un ampio dibattito l’intervento e la successiva rettifica di Galli della Loggia, dove critica la scuola inclusiva italiana.
La frequenza di persone con bisogni educativi speciali costituisce una sfida, richiede impegno, ma non è mettendole da parte e guardando al passato che si risolvono i problemi in modo strutturale.
I problemi derivano dal fatto che le classi sono troppo numerose; dal fatto che è troppo nozionistica e che non riesce ancora a valorizzare le potenzialità di ognuno.
Dal punto di vista di chi scrive, un insegnante di sostegno che ha lavorato anche come insegnante curricolare, è partendo da questi tre punti che bisognerebbe intervenire.
La presenza di persone con bisogni educativi speciali, invece, è un vantaggio, anche se non sempre percepibile.
È un vantaggio perché chi vive, chi conosce e chi si confronta con la diversità ne esce più forte, anche quando questa convivenza è difficile.
Isolandoci, escludendoci al dialogo, confrontandoci solo sulle vittorie, non rischiamo forse di creare giovani più fragili, meno empatici e meno pronti ad affrontare le sfide della vita?
Forse è invece confrontandoci e accettando le fragilità di ognuno che riusciamo anche ad accettare le nostre fragilità.
La vera sfida della scuola è riuscire ad aiutare tutti, chi in difficoltà e chi no, ad acquisire la consapevolezza dei propri talenti e valorizzarli, ognuno con le proprie peculiarità.
Una persona valorizzata, con una buona autostima, riconosciuta nelle sue capacità, è più responsabilizzata e non ha bisogno di mettere in atto comportamenti negativi per farsi notare.
Un talento valorizzato oggi sarà anche un vantaggio per la società di domani.
Si pensi ad esperienze incoraggianti, come PizzAut di Nico Acampora, da cui tutti dovremmo imparare.
Utopia? Con impegno (anche politico) e facendo lavoro di squadra è possibile e il risultato è meraviglioso perché porta alla realizzazione della persona.
Difficile da mettere in pratica? Sì, però ci sono gli strumenti pedagogici e didattici per affrontarlo, come la progettazione universale per l’apprendimento o “universal design for learning”, che prevede la progettazione della lezione per renderla fruibile a tutti, a diversi livelli; attività che si basino sul concreto più che sull’astratto, valorizzazione del sapere pratico, nonché attività collaborative tra pari, studenti in difficoltà e non. Tuttora tanti insegnanti curricolari e di sostegno attuano queste strategie ogni giorno con dedizione e con risultati positivi, ma questo fa poco rumore.
E’ solo partendo da una scuola inclusiva, aperta a tutti, che possiamo creare una società inclusiva ed è valorizzando le potenzialità di tutti che possiamo preparare i giovani alle sfide della vita. Nella società di domani, più anziana e fragile, ci saranno molte persone con “bisogni speciali”. Meglio preparare i giovani a questo cambiamento aiutandoli a consolidare l’empatia verso gli altri, oppure rinchiuderli in una gabbia dorata di pochi eletti di “serie A”?
Andrea Vallini