Gli studenti di un liceo si confrontano su un tema di grande attualità ed importanza: la libertà del giornalismo d’inchiesta e la censura all’informazione. E’ accaduto nel liceo artistico statale “Modigliani” di Giussano (nella provincia Monza e Brianza), grazie ad un percorso sull’educazione alla legalità, che partendo dalla ‘Giornata della memoria’ del 27 gennaio si è snodato su tematiche quali la mafia e poi anche “la forza della libertà di opinione e di pensiero”, come ci dice la prof Luisa Sorrentino, docente di Discipline audiovisive e multimediali che ha curato questa attività in alcune sue classi.
Sorrentino, che è anche autrice di un volume dal titolo “Insegnare col multimediale” (Dino Audino Editore), ha precisato che svolge percorsi di “educazione alla legalità” già dai tempi della disciplina Cittadinanza e Costituzione, proseguendo poi nei recenti percorsi pluridisciplinari di Educazione civica.
In particolare, sottolinea la docente, “la tematica della libertà di parola, viene affrontata attraverso la visione di specifici film (‘Il caso Spotlight’, ‘The post’) a cui fa seguito un’analisi accurata del prodotto audiovisivo, con relativo dibattito”.
L’insegnante aggiunge: “grazie al racconto narrativo e alla potenza delle immagini di un film come ‘Quinto potere’ e dei materiali audiovisivi di repertorio, di cui il web è ricco, è possibile proporre una lezione multimediale vicina al linguaggio di questa generazione “.
Ma gli alunni mostrano interesse, si sentono coinvolti? “Le storie raccontate cinematograficamente di personaggi e di fatti realmente accaduti – risponde Luisa Sorrentino – intrigano e affascinano molto gli studenti, inoltre rimangono maggiormente colpiti quando gli vengono dimostrati i fatti con la visione di servizi giornalistici, una metodologia che cattura l’attenzione della classe e che dà vita ad un vero e proprio dibattito sviluppando un pensiero critico. Quest’ultimo tanto decantato, ma sempre meno realmente richiesto agli studenti”.
Quest’anno il “focus” del suddetto percorso è stato indirizzato su Julian Assange, giornalista cofondatore di WikiLeaks – del quale magari i ragazzi più giovani non hanno neppure sentito parlare – e attualmente detenuto in un carcere di massima sicurezza inglese, in attesa di una ormai quasi certa estradizione negli Usa dove rischia 175 anni di carcere.
E proprio oggi – dopo che un mese fa la Corte suprema britannica si era rifiutata di esaminare il ricorso dei legali del giornalista australiano contro la decisione con cui l’Alta corte lo scorso dicembre aveva ribaltato il verdetto di primo grado contrario all’estradizione – la Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa per Assange.
Riguardo all’estradizione, in una recente nota, la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa (principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa, da non confondere con l’Ue) ha affermato che “le conseguenze della possibile estradizione di Assange sui diritti umani vanno ben oltre la sua persona perché le accuse che gli sono rivolte sollevano importanti questioni sulla protezione di coloro che pubblicano informazioni riservate nell’interesse dell’opinione pubblica” (come riportato anche da SWI swissinfo.ch – succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR).
Informazioni che Assange ha ricevuto (e non “trafugate”), riuscendo documentare crimini di guerra commessi da forze armate statunitensi durante i conflitti in Afghanistan e Iraq. Ad esempio un video, già diffuso anche in Italia (anche in una puntata della trasmissione “Presa diretta” condotta da Riccardo Iacona su Rai3 che ha offerto spunti molti interessanti) mostra militari americani che sparano da un elicottero contro obiettivi civili inermi che vengono uccisi a Baghdad (capitale dell’Iraq), tra cui un fotoreporter e un altro collaboratore della Reuters, sparando successivamente anche sull’unico superstite che era a terra ferito e sui soccorritori (ferendo gravemente anche due bambini che erano nel veicolo di uno dei soccorritori).
Da segnalare che recentemente anche il Sisa (Sindacato indipendente scuola e ambiente) ha sostenuto iniziative a favore di Julian Assange e del “suo ruolo per una informazione libera, indipendente e corretta, contro gli abusi del livello più alto del potere”. Tale sostegno “rappresenta un dichiarato impegno verso la libertà di informazione e il giornalismo d’inchiesta e contro una detenzione ritenuta arbitraria anche da Amnesty International”.
Amnesty International, commentando lo scorso mese la decisione della Corte suprema del Regno Unito e proponendo una petizione a favore del giornalista australiano, peraltro mette in rilievo come “la pubblicazione di documenti da parte di Julian Assange nell’ambito del suo lavoro con WikiLeaks non dovrebbe essere punita perché tale attività riguarda condotte che il giornalismo investigativo svolge regolarmente nell’ambito professionale. Processare Julian Assange per questi reati potrebbe avere un effetto dissuasivo sul diritto alla libertà di espressione, spingendo i giornalisti all’autocensura per evitare procedimenti giudiziari”.
I documenti resi noti da Assange e dal suo gruppo hanno squarciato il velo di indifferenza che queste guerre generavano nell’opinione pubblica occidentale, soprattutto perché spesso tenuta all’oscuro di avvenimenti ritenuti “sconvenienti”. E soprattutto negli ultimi anni nei media dell’informazione “mainstream” è subentrato un imbarazzante silenzio sulla vicenda che riguarda Julian Assange (oggi, ad esempio diversi organi di informazione televisiva non hanno dato neppure la notizia dell’ordine di estradizione oppure almeno in un caso si è preferito aggiungere l’aggettivo “presunti” – nonostante i documenti già resi noti – davanti alle parole “crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq”, mentre nell’informazione on line almeno si è dato spazio in modo diffuso alla notizia).
Intanto sono emerse preoccupazioni per il serio deterioramento della salute di Julian Assange, come ha fatto notare già qualche tempo fa anche Nils Melzer, “Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura”, che ha pure sostenuto come il giornalista australiano sia stato inoltre sistematicamente diffamato per danneggiarne l’immagine personale (peraltro il pubblico ministero svedese, nazione in cui Assange aveva un’accusa di reato, ha annunciato che l’indagine era stata archiviata a partire dal 19 novembre 2019), nonché che la sua prolungata reclusione in una prigione di massima sicurezza non è né necessaria né proporzionata e manca di qualsiasi base giuridica, come riportato sul sito wired.it che ricorda anche i precedenti 550 giorni di arresti domiciliari e quello che viene definito “il confino nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, durata quasi sette anni” (in cui il cofondatore di WikiLeaks si era rifugiato), precedenti alla detenzione da tre anni in un carcere di massima sicurezza.
In un comunicato il Sisa sottolinea come “il gruppo di WikiLeaks inoltre ha diffuso vari ‘documenti confidenziali’ sulle operazioni della coalizione internazionale in Afghanistan, rilasciandoli anche a testate che verificano l’autenticità del materiale, come Der Spiegel, New York Times e Guardian. In un editoriale del quotidiano inglese” (pubblicato nel gennaio 2002) “si menzionano dati e studi che, esaminando e mettendo a confronto i rapporti di agenzie umanitarie, dell’ONU, di testimoni oculari, giornalisti e di agenzie internazionali, stimano in diverse migliaia”, già allora, “i civili uccisi dalle bombe, morti da molti definite cinicamente ‘effetti collaterali’”.
L’Occidente, in una fase storica in cui giustamente si sottolineano situazioni di pesanti censure alla libertà di stampa e di informazione, non può tollerare o peggio nascondere le manovre per cancellare crimini di guerra e diritti fondamentali laddove ciò è perpetrato da “questa parte” del mondo. Per tale motivo il Sindacato indipendente scuola e ambiente, “schierato contro tutte le guerre (ovviamente anche quelle ‘dimenticate’, come nello Yemen ma non solo), che vedono come prime vittime le classi sociali più svantaggiate, chiede con forza ‘uniformità di giudizio’, elemento utile – sottolinea Davide Rossi, segretario generale del Sisa – anche a intraprendere una vera azione di pace globale, che passa anche dalla necessità di un mondo multipolare ”.
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