Nonostante i proclami e la presunta linea dura sponsorizzata dalla politica da anni la violenza legata al calcio in Italia è in aumento “rispetto alla stagione precedente, gli incontri con feriti, i feriti tra gli steward, il numero di arresti. Ciò ha determinato anche un maggiore impiego delle forze dell’ordine (+14%) per un costo complessivo di 25 milioni”. Lo dice il capo della polizia, Alessandro Pansa che aggiunge: “Nell’ultimo campionato sono stati comminati 2.353 provvedimenti di Daspo. Il vulnus principale è rappresentato dagli stadi: l’impiantistica italiana non è adeguata”
A parere di Ciriello, gli interventi minacciati per sedare le violenze negli stadi sarebbero solo minacce, parole e nulla più, e ciò si spiegherebbe “solo se la violenza negli stadi serve e che sia utile in qualche modo allo Stato”.
In altri termini, per lo scrittore sarebbe “una sorta di ammortizzatore sociale in cui si sfogano tutte le frustrazioni. Un modo per non vedere dilagare la violenza nella società. Tutti quelli che hanno problemi trovano un posto dove integrarsi e sfogarsi. Un modo evidentemente più economico che pensare e mettere in atto vere soluzioni”.
“Finiti i grandi ideali cosa rimane alle periferie? La Squadra. Identifichi il successo della tua squadra con una rivalsa della tua condizione. È da qui che nasce la gratificazione nella violenza che, evidentemente, è consentita. Da qui tutto l’immaginario territoriale, le bandiere. Ecco perché non ha senso dire che si parla di una piccola minoranza. Si tratta invece di una larga maggioranza”.
A questo genere di tifosi, secondo l’esperto, “non interessa minimamente dello sport. Sono interessati a quel momento, per così dire “sociale”, di aggregazione, che li tiene in piedi, dà senso alla loro vita”.
“Nei confronti di questi signori, degli ultras, dei tifosi violenti, non c’è mai ironia. La stampa alimenta il problema perché rinuncia a capire. Si appiattisce alla narrazione che divulgano questi signori. Quei discorsi di appartenenza territoriale, onore e fierezza. In realtà andrebbero presi in giro, smontandogli l’immaginario da guerrieri. Invece non succede. Uno come “Genny a’ carogna” andrebbe ridicolizzato e invece lo si tratta con una dignità che non ha”.
“La cosa decisiva è il cambiamento del linguaggio che significherebbe intraprendere un percorso educativo”.
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