Egregio ministro Valditara,
non è per farle una lezione di filosofia che le scrivo, cosa che faccio già quotidianamente ai miei studenti liceali, ma la vorrei introdurre ad un tema che sembra, in qualche modo, a mio modesto parere, sfuggirle. Il tema è la questione connessa alla dimensione della politica nelle scuole.
È già stato notato da molti, in articoli anche recenti apparsi sui quotidiani nazionali, che con l’introduzione dell’educazione civica nelle scuole la politica sembra entrata a gamba tesa nel mondo scolastico. Peraltro come trattare temi di valenza costituzionale quali libertà, eguaglianza, solidarietà, equità retributiva o altro ancora senza immediatamente “fare politica”, senza “incontrare la politica”. Lo stesso si farà nel momento in cui ci si dedicherà ai temi dello sviluppo sostenibile, dell’ambiente, della cittadinanza digitale, tutti temi trattabili in educazione civica che estrapolo dal recente testo normativo in materia che, in qualità di insegnanti, siamo tenuti a rispettare.
Le leggi infatti si possano criticare, ma si devono, in primo luogo, rispettare, almeno io la penso così. Si tratterà poi di vedere, nei diversi argomenti affrontati, le differenti interpretazioni e implicazioni, forse; si tratterà di non entrare negli aspetti partitici della questione, forse. Anche se francamente pare difficile parlare di solidarietà e poi trattare la tragedia dei 67 morti nel mare di Calabria senza alcun commento “politico”, anche duro da parte nostra. Parrà sempre più difficile leggere in classe a degli adolescenti l’articolo 10 della Costituzione quando recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”
Vorrei però allargare un pochino l’orizzonte della questione. Intanto perché a mio parere l’educazione civica nelle scuole è sempre stata insegnata, magari a mo’ di carbonari, magari in maniera meno strutturata, ma, cosa che a me pare più significativa, anche perché facendo cultura si fa politica.
E sì, è proprio così. Platone si dedicherà alla filosofia esclusivamente per ragioni politiche, come lui stesso afferma nella Lettera VII. Le sarà noto che Aristotele considerava l’uomo un animale politico e faceva della politica un aspetto costitutivo dell’essere umano, una sua ragion d’essere. In un certo senso più di recente, nella sua “Filosofia dello spirito” del 1908, Benedetto Croce ha distinto nello spirito stesso due momenti uno teoretico conoscitivo e l’altro pratico attivo, all’interno di quest’ultimo, per farla breve, distingue la volizione dell’individuale, dell’utile che è l’economia, in cui rientra la politica (“azione guidata dal senso dell’utile”) e la volizione dell’universale o del bene che è la morale.
Ma lei dirà questa è solo filosofia. Tutt’altro, si pensi alla teoria della relatività di Einstein considerata una “fisica giudaica” o all’arte degenerata tanto avversate dal nazismo, purtroppo un movimento politico, si pensi all’evoluzionismo darwiniano, ancora oggi osteggiato da gruppi ultraconservatori nordamericani e non scandaglierei ulteriormente il rapporto fra ricerca e politica, tema fondamentale nella storia della scienza, solo perché lo spazio da dedicare alla questione sarebbe immenso.
Vivere è politica, per seguire Croce la politica rappresenta ogni volizione individuale. E’ politico Macchiavelli, lo era Guicciardini, lo era Verdi e persino Ariosto con Orlando che lascia la difesa di Parigi per correre dietro alla sua innamorata. La cultura è politica. Se poi si vuole abdicare al fine prioritario della scuola che è trasmettere cultura, allora è un altro paio di maniche, allora la politica potrà uscire dalle scuole. Io comunque non avrei così paura della politica, non mi pare nulla di demoniaco, ci può salvare, in fondo riguarda il bene collettivo a cui tutti siamo affezionati, riguarda il cambiamento, per tornare nuovamente a Croce. E il politico dovrebbe essere colui che, pensando al bene collettivo, si rivela il più altruistico fra gli uomini, una sorta di moderna divinità.
Non a caso San Tommaso sosteneva che: “la scienza politica, finalizzata com’è a dare un’organizzazione agli uomini, non è annoverabile tra le scienze fattive, quali sono le arti meccaniche, ma va classificata tra quelle attive, come sono le scienze morali” e gli dava comprensibilmente un grande peso.
A questo punto non si dica più che una preside che esprime un suo parere abbia “fatto politica”, infatti ha “solo” fatto cultura, anche perché, ribadisco, il fare cultura “incontra la politica”; è ineluttabile.
Ministro, se ne faccia una ragione.
Marco Navarri
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