Fare il pastore o l’allevatore, produrre latte e stare a contatto totale con la natura, si conferma un lavoro sempre più appetibile. Qualche mese fa avevamo pubblicato la notizia dell’alto interesse per la “scuola per pastori e allevatori” Life ShepForBio, il progetto cofinanziato dall’Unione europea che coinvolge il Parco toscano delle foreste casentinesi: per i sei posti messi a bando, poi diventati otto, erano pervenute ben 167 domande. Tra i candidati anche “laureati in discipline del settore. Come Nunzio Marcelli, il pastore e casaro laureato in Economia che tempo ideò l’iniziativa dal successo globale ‘Adotta una pecora’.
Oggi, scrive l’Ansa, ad Anversa degli Abruzzi, in provincia dell’Aquila, Marcelli alleva 1.500-1.700 pecore e conduce un agriturismo, ma – nonostante la lunga barba bianca e i 40 anni di attività rurale – non ha perso la voglia di lottare per la difesa della pastorizia e delle micro produzioni: parliamo di formaggi, latte crudo, ma anche mortadella e salumi di pecora.
“Ogni giorno – racconta all’agenzia di stampa – facciamo la prima mungitura alle 4,30 del mattino, per poi ripeterla alle ore 17 del pomeriggio. Ma le pecore non producono quanto le mucche. E le nostre pecore che fanno transumanza verticale producono ancora meno latte delle pecore sarde che fanno transumanza in orizzontale, in piano”.
Tuttavia, continua il pastore laureato, “da noi i conti tornano perché esportiamo i nostri formaggi negli Stati Uniti e lì spuntiamo prezzi che ripagano i nostri sforzi. Inoltre abbiamo pecore da carne, lavoriamo con la certificazione Igp che è quello dell’Agnello del Centro Italia, ed è una produzione cento per cento bio, a km zero. Anche il macello è nel nostro stabilimento”.
Quindi, Marcelli spiega che nel tempo ha “puntato a innovare le proposte di carne di agnello, producendo i salumi di pecora, la carne disseccata di agnello, e sono di autoproduzione sia la mortadella che l’hamburger. Sono queste le nostre idee di trasformazione e modernizzazione delle tipicità del posto”.
Il progetto ‘Adotta una pecora’ prosegue e oggi conta circa 800 famiglie allargate. “Si tratta di una forma – spiega Marcelli – di coesione tra i consumatori e i produttori e anche ultimamente sta assumendo un valore di aiuto a un tipo di pastorizia. In particolare per quella appenninica che, per una serie di vicende, è in forte arretramento nonostante la bella immagine che ne viene evocata anche per i prodotti regionali. Se non si vuole che rimanga solo un’immagine, la pastorizia, ma diventi anche una sostanza bisogna incentivare certe forme di scambio tra consumo e produzione”.
Sono questi gli obiettivi da centrare per salvaguardare l’economia dell’Appennino, la pastorizia tradizionale ma anche i fattori di biodiversità essenziale, come attestano gli studi che qui sta svolgendo l’Università del Piemonte orientale. “In particolare – specifica il pastore – si mette in evidenza la circolarità di questa attività: il gregge si sposta lì dove c’è l’erba, ma in maniera ciclica. Invece, chi rimane con un allevamento stanziale in un’area, rischia la desertificazione, come è avvenuto in tante aree anche della Palestina e del Medio Oriente. Mentre fin dall’epoca romana si è visto il valore strategico di questa ciclicità degli spostamenti pastorali da un’altitudine di 300-400 metri per arrivare a 2.000 metri d’estate”.
Quindi, questa deve essere la strada da intraprendere: “qui – dice ancora Nunzio Marcelli – ci sono giovani che fanno scuola di pastorizia, addestramento, e stanno studiando. Ma serve organizzazione di mercato affinché questi prodotti della pastorizia di montagna siano distinti. Finalmente così saranno pagati per il loro valore”.