Il dirigente scolastico di un Istituto comprensivo fiorentino ha diramato una circolare nella quale viene imposto agli alunni un abbigliamento consono al luogo.
Il caldo, specifica, non giustifica la scopertura eccessiva di parti del corpo, per cui è vietato “l’utilizzo di canotte, top, pantaloncini corti, gonne corte e simili”. Immediata la reazione di alcune associazioni che contestano il concetto di “decoro” che riguarda la sfera individuale e dunque non si può imporre la morale e il gusto di chi dirige la specifica scuola.
Anche le associazioni studentesche si sono ribellate, indicendo proteste.
Nell’Italia delle fazioni, anche su questo versante si creano i partiti benché l’osservazione del preside sia pertinente con l’istituzione e la sua funzione educativa. La scuola infatti è espressione dello Stato, nella quale si giudica, decretando il futuro dell’alunno, e si formano i cittadini di domani. Portare allora rispetto al suo ruolo è un obbligo, come a tutte le altre funzioni che si compiono al suo interno, a cominciare dall’abbigliamento al quale i ragazzi, proprio perché tali, devono imparare a uniformarsi.
La disciplina, come le discipline che si insegnano, parte dal rispetto della “Mission” che ha l’istruzione, vale a dire da un luogo dove la sacralità del suo ruolo non può mediare con le stravaganze.
Nei tribunali, dove si amministra la giustizia in nome del popolo, gli avvocati sono tenuti a mettere la toga, come i giudici. E ci si toglie anche il berretto in ossequio allo Stato che in quel momento è rappresentato.
Non si pretende il grembiule nelle aule scolastiche, né una divisa, ma il rispetto dovuto a quella funzione che essa ha; e il rispetto parte dal vestiario, che per certi verso è anche linguaggio, attraverso il quale si rende omaggio non solo al luogo, ma anche a chi in quel luogo rappresenta lo Stato e la sua Mission.
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