La valutazione degli esiti delle prove Invalsi è stata messa in risalto dai mass media.
La caduta degli apprendimenti è stata attribuita alla Didattica a Distanza.
La dichiarazione della ministra Mara Carfagna sintetizza il generale sentire: “La Dad fa male ai nostri ragazzi e ipoteca il loro futuro: mai più davvero“. Eppure il tracollo delle prestazioni degli studenti è l’amplificazione degli effetti della cinquantennale trasgressione delle norme di legge.
Ecco perché.
1969 – L’esame di Stato è orientato alla valutazione delle qualità intellettive e operative degli studenti; la loro preparazione é certificata dalle scuole. Le commissioni d’esame, invece di onorare il mandato ricevuto, hanno soppesato le conoscenze dei candidati, duplicando il lavoro del Consiglio di classe.
1974 – La struttura organizzativa della scuola è modificata: la cultura sistemica ne ha guidato il disegno. Il nuovo impianto non è stato accettato per l’incapacità di vivere la scuola come complesso unitario.
1999 – Le attribuzione degli organi collegiali sono: la progettazione formativa, educativa e dell’istruzione. Gli adempimenti attesi non sono stati onorati perché i documenti di convocazione delle loro sedute non li hanno previsti.
2003 – La scuola è definita un sistema orientato allo “sviluppo di capacità e di competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche”. Il senso della prescrizione non è colto: le competenze non sono intese come una manifestazione di capacità; il loro significato è desunto da ambienti addestrativi. Una corretta interpretazione avrebbe valorizzato le responsabilità degli organismi collegiali e, conseguentemente, l’auspicato rinnovamento dell’istituzione; l’unificazione degli insegnamenti ne sarebbe stata la naturale conseguenza.
Quanto richiamato è sufficiente per illuminare il campo del problema e cogliere l’origine dell’esito dei test Invalsi, test che mirano a rilevare competenze: un campo non dissodato.
Enrico Maranzana
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