I lettori ci scrivono

L’altro volto della Buona Scuola: dall’inclusione… all’esclusione

C’era una volta… la buona scuola, quella in cui la Dirigenza scolastica ascoltava le istanze dei genitori degli alunni circa i disagi vissuti quotidianamente in classe dai loro figli per la presenza anche di un singolo elemento fortemente “disturbante”, e si sforzava di trovare adeguate soluzioni in grado di tutelare tanto lo studente “difficile” quanto il nutrito resto del gruppo di studenti, al fine di non arrivare a compromettere il benessere psico-fisico e il rendimento scolastico di nessuno. Una maniera educata, logica e trasparente per collaborare e risolvere i problemi, lavorare in un opportuno clima di serenità e, perchè no, far quadrare i “conti”, tenendosi stretti gli studenti iscritti.

Accade oggi, invece, che la scuola è diventata una “corrida” con tanto di…dilettanti allo sbaraglio al comando, e che alcuni Dirigenti scolastici, sbandierando il proprio potere decisionale su ogni questione per effetto della legge “La Buona Scuola”, improvvisandosi paladini dell’inclusione scolastica a tutti i costi, arrivino a trincerarsi dietro di essa e a costruire un muro nei confronti di quei genitori educati, moderati e comprensivi – le cui richieste vengono totalmente ignorate – che nel frattempo soffrono i malesseri manifestati dai figli per una situazione spinta “da qualcuno” ben oltre un livello esagerato di sopportazione.

Dunque, se la scuola non volta pagina e non risponde, mostrando noncuranza e ingratitudine verso chi paga l’iscrizione e contribuisce a mantenere in vita posti di lavoro,  proteggendosi con l’alibi dell’inclusione, per la quale, evidentemente, non è adeguatamente attrezzata, il risultato è la perdita degli studenti, inevitabilmente. La regia di questa operazione fallimentare, che fra l’altro svilisce gli sforzi dei docenti e disattende il patto di corresponsabilità sottoscritto fra scuola e genitori, è certamente attribuibile all’inadeguatezza e alla scarsa capacità gestionale dell’azienda-scuola del team dei Dirigenti.

Eppure, la scuola è da sempre, insieme alla famiglia, l’istituzione deputata alla formazione dei cittadini di domani; a scuola, gli alunni dovrebbero imparare soprattutto ad avere rispetto per se stessi e per gli altri, a conoscere e difendere i propri diritti (fra i quali quello all’istruzione e al benessere psico-fisico) e a rispettare le regole, tutti allo stesso modo.  Ma quando un’aula scolastica si trasforma da luogo sereno di apprendimento a ring, dove gli studenti sono costretti a sopportare i comportamenti dell’elemento “disturbante”, quando la scuola rimane inerte di fronte a tanto malessere e disagio e dimostra di voler prendere sotto la sua ala solo quell’alunno che dice di non poter allontanare, allora si innescano dinamiche relazionali diverse con i vertici, che inducono le famiglie ad uscire una volta per tutte da quell’ambiente melmoso, e chiedere ospitalità altrove per far terminare serenamente il ciclo di studi ai propri figli.

Dal canto loro, i ragazzi, avviliti e smarriti nel “buco nero” nel quale sono inconsapevolmente finiti, perdono fiducia in loro stessi e vengono privati della possibilità di costruire quell’autostima che proprio durante l’adolescenza dovrebbero maturare ed accrescere per affrontare la vita con sicurezza e realizzare i loro sogni; invece, sono indotti a disegnare la propria identità in funzione di quegli insegnamenti distorti che hanno ricevuto durante questa delicatissima fase di crescita, ovvero “taci e sopporta”.

Inaccettabile.  Da qui la scelta paradossale dei genitori, messi con le spalle al muro: l’esclusione del proprio figlio da una scuola che si dichiara inclusiva! Se la scuola impone soltanto e non va incontro alle famiglie, se persino gli organi superiori alla stessa scuola sostengono che “va tutto bene”, allora i genitori traditi da questo sistema per niente limpido, sono costretti a voltare pagina e compiere una scelta dolorosa per il bene dei propri figli, ovvero interrompere quel percorso scolastico scelto insieme con entusiasmo, sgretolato e svilito dall’inerzia e dall’atteggiamento ostile dell’istituzione. E allora, via verso un’altra scuola, tutta un’altra musica, tutta un’altra storia. Con tutto ciò che comporta. E’ così che, come diciamo nel titolo, la scuola che si vanta di essere “inclusiva”, ma senza gli strumenti per esserlo davvero, diventa luogo di esclusione. E discriminazione.

Bene, “il nulla osta è servito”. Chi vince? Nessuno. Chi perde? Probabilmente chi ci rimette davvero, anche in termini di immagine, è proprio la scuola.

Marcella D’Addato

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