Fine maggio. È tempo di grigliate per la scuola italiana. Non di carne. Non di pesce. Non di verdure. Di alunno.
In prossimità degli scrutini i docenti sono alle prese con i giudizi globali, da formulare facendo riferimento a rubriche di istituto approntate da un’apposita commissione di insegnanti: decine e decine di indicatori e descrittori a formare una vera e propria giungla di caselle. Giusto per capire, i non addetti ai lavori digitino su un motore di ricerca le parole chiave “formulazione giudizi globali”.
Nel testo Psiche amica, Renato Marini scrive: “La società occidentale, in modo particolare quella nordamericana, fonda una grande parte della propria pedagogia sulla competizione e la concorrenza fra i vari membri della comunità. I bambini, i giovani e gli adulti vengono costantemente valutati, misurati nelle loro prestazioni e confrontati con gli altri […] Le strutture sociali vengono costruite sui giochi di potere o di successo e lo stesso avviene per i contatti sociali. La vita non è che una perenne gara, nella quale si deve per forza arrivare, se non primo, almeno in buona posizione; i criteri per misurare il successo sono molti: la casa, l’auto, i mobili, il lavoro, i figli, il titolo di studio, la bellezza della moglie, la posizione sociale del marito ecc. Tutto questo è molto materialista. Forse stimola la lotta e quindi ottiene maggiore impegno, ma il prezzo che si paga è la perdita della serenità”.
Lo stesso Oscar Wilde, ne Il ritratto di Dorian Gray, mette in guardia: “Definire è limitare”.
Alla luce di queste poche riflessioni, mi domando: è sensato costringere l’essere umano, nella sua straordinaria (e per molti versi affascinante) complessità, all’interno dei piccoli rettangoli di una griglia? Aumenta davvero il grado di oggettività della valutazione? Valutare ogni respiro? Perché? Non è uno spreco di risorse – e di intelligenze – impiegare i docenti (molti dei quali preparati e con seri studi alle spalle) nella compilazione e tabulazione di decine e decine di griglie nel corso di tutto l’anno scolastico, per un totale di centinaia (a essere buoni) di caselline? Di nuovo, si faccia una ricerca su Internet per rendersi conto di che cosa stiamo discutendo.
In una società che corre, la scuola dovrebbe spronare – spronarsi – all’indugio, alla lentezza, alla riflessione. Che bella questa parola: indugio. Indugiare su un dipinto, su un brano di letteratura, su una composizione musicale… Non sarebbe il caso, ogni tanto, di fermarsi e riflettere su ciò che si fa? Stiamo sbagliando? La direzione è quella giusta? Bisogna correggere un po’ la rotta? Invertirla del tutto?
Pensiamoci, almeno noi docenti. Se non altro per evitare “grigliate di alunno”.
Francesco Schipani