Un alunno offende il collaboratore scolastico scrivendo di suo pugno scritte pesanti e ingiuriose sulla cattedra di lavoro della lavoratrice Ata: la Cassazione condanna i genitori del ragazzo, perché non hanno insegnato i corretti valori e comportamenti al figlio, indicando nella sentenza che “non vi è stata sufficiente educazione del figlio a concetti elementari quali quelli del rispetto del prossimo e dell’intima connessione tra i concetti di libertà e responsabilità”.
Gli ermellini hanno respinto, quindi, la tesi della difesa, dell’alunno e della famiglia, secondo la quale le scritte offensive erano figlie di “una goliardata”.
La Cassazione ha reputato questa tesi non valida, condannando i genitori dell’allievo minorenne, colpevole di aver vergato frasi offensive sulla scrivania della collaboratrice scolastica. Dovranno quindi risarcirla.
Sulla sentenza ha pesato, probabilmente, anche la dinamica che ha portato l’alunno, con alcuni suoi compagni, a scrivere quelle frasi: lo hanno fatto entrando furtivamente a scuola e recandosi appositamente nel locale dove opera la collaboratrice scolastica.
La vicenda è avvenuta ad Urbino e la condanna al risarcimento – la cui entità non è specificata, riferisce l’agenzia Ansa – è stata pronunciata dal Tribunale di Urbino nel 2016, a conferma di quanto già stabilito dal Giudice di pace. Quindi, la Cassazione ha di fatto ribadito quello che era stato espresso già da due tribunali.
Stavolta, ad avviso della Suprema Corte, il giudice di merito “con motivazione sintetica ma sufficiente, ha affermato che il fatto per il quale era stata avanzata domanda risarcitoria riguardava la responsabilità dei genitori regolata dall’art. 2048 del codice civile, ed in particolare del padre convivente con il figlio, tenuto conto della sicura ascrivibilità al minore Filippo di una condotta ingiuriosa, caratterizzata da disvalore sociale”.
Per gli ‘ermellini’, inoltre, la circostanza che il padre di Filippo abbia continuato a insistere a “sminuire l’operato del figlio definendolo una goliardata” è stata considerata quasi un’aggravante.
Il padre, che comunque “non aveva messo in discussione che il figlio minore fosse l’autore” delle “scritte ingiuriose”, è stato così condannato dal verdetto 4152 della Terza sezione civile a pagare le spese legali in favore della bidella Bruna M. per 1.700 euro.
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