Sono interessato a quanto accade nel mondo della scuola per vari motivi, come genitore, come ex insegnante, come tecnico che in molte occasioni ha portato la propria esperienza agli studenti.
Mi piacerebbe che le riforme, in generale e per la scuola in particolare, fossero motivate da dati e considerazioni solide, non da frasi ad effetto e spesso vuote, svilendo e impoverendo la discussione.
Prendo spunto da una frase del Ministro: “Si tratta di una riforma ambiziosa, molto attesa dalle scuole e dal mondo produttivo e in cui questo governo crede fortemente” (Corriere della sera, 21 dicembre 2023, in occasione del via libera in Commissione al Senato), per alcuni commenti.
Una riforma molto attesa dalle scuole
A giudicare dall’adesione delle scuole e delle famiglie alla sperimentazione avviata con il DM n. 240 del 7 dicembre 2023 e dalle osservazioni depositate alla Commissione Cultura della Camera dalle diverse rappresentanze del mondo della scuola, l’affermazione andrebbe meglio circoscritta, per non apparire palesemente falsa.
Una riforma ambiziosa
Non è chiaro dove il Ministro abbia intenzione di portare la scuola!
Va precisato che il Disegno di Legge A.C. 1691, al momento in discussione alla Commissione Cultura della Camera, se approvato, andrà ad integrare il Decreto Legge n. 144 del 23 settembre 2022, convertito con Legge n. 175 del 17 novembre 2022.
La legge 175/2022 è uno “zibaldone” che contiene di tutto, prevalentemente interventi per far fronte all’improvviso aumento dei costi dell’energia; il DL fu adottato dal governo Draghi, già dimesso. Il Titolo è: “Ulteriori misure urgenti in materia di politica energetica nazionale, produttività delle imprese, politiche sociali e per la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”.
In questo Decreto, il ministro Bianchi aveva fatto inserire l’art. 26 che ha per oggetto la riforma degli Istituti Tecnici e l’art. 27 con oggetto la riforma degli Istituti Professionali. In sostanza dovevano essere adottati, entro 180 giorni dall’entrata in vigore, dei regolamenti per adeguare i curricoli degli Istituti Tecnici e Professionali alle esigenze in termini di competenze del settore produttivo nazionale. Tali regolamenti non risultano essere mai stati né discussi né approvati. Un intervento legislativo tanto urgente da rimanere lettera morta; ma sulla scuola ogni Ministro cerca di lasciare comunque un segno! Si fa notare che il titolo della Sezione III, che comprende i due articoli citati, è “Misure per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza in materia di istruzione”.
Il PNRR, Missione 4, prevede la riforma degli istituti tecnici e professionali. Il Disegno di Legge in discussione, pur motivato chiaramente dalla necessità di dare attuazione al PNRR, riporta, diversamente, un titolo che farebbe pensare ad un intervento più limitato, sperimentale “Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale”. Che dire? Vedremo.
Una riforma molto attesa dal mondo produttivo
In più occasioni il Ministro ha fatto riferimento ai dati Unioncamere “L’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa: secondo i dati Unioncamere Excelsior, dalla meccatronica all’informatica serviranno da qui al 2027 almeno 508mila addetti, ma Confindustria calcola che il 48% di questi sarà di difficile reperimento. A settembre 2023 questo dato ha già raggiunto quota 48% (+5 punti rispetto al 43% di un anno fa, nel 2019 era il 33%). Il disegno di legge approvato oggi ha l’obiettivo di trasformare questi numeri allarmanti in una grande opportunità per i nostri giovani” (Comunicato stampa Min. Istruzione del 18 settembre 2023)
A quali dati si riferisce il Ministro? Unioncamere, attraverso il Sistema Informativo Excelsior, raccoglie e pubblica aggiornandoli costantemente i dati relativi alle richieste di assunzione previste dalle aziende private con almeno un dipendente.
Il dato 2023, in sintesi, rileva che erano 5,5 milioni le entrate previste dalle imprese, così ripartite per livello di istruzione: 18,5% scuola dell’obbligo; 37,7% qualifiche o diplomi professionali; 29% diplomi; 0,9% ITS e 13,9% Università. Ne deriverebbe che il livello di istruzione oggi in Italia è presumibilmente troppo alto rispetto alle richieste del mondo del lavoro.
Per quanto riguarda i profili professionali, risultano “introvabili” non solo professioni ad alto contenuto specialistico, come si potrebbe pensare, ma, e in netta maggioranza numerica, professioni come “commessi vendite al minuto” dove mancavano 215.600 unità, oppure “operatori di Call Center” dove non si trovavano 20.080 unità, il 77% delle richieste delle imprese (Unioncamere “Gli sbocchi professionali dei diplomati nelle imprese, indagine 2023”). Dunque un’abbondante e diversificata offerta di lavoro, con retribuzioni minime iniziali nella maggior parte dei casi sopra i 20.000 € l’anno. Questa è l’Italia di Confindustria che decide come va cambiata la scuola.
Sarebbe interessante e quanto mai opportuno che qualcuno verificasse l’attendibilità di questi dati, vista l’importanza che assumono nel definire le politiche del governo sulla scuola.
Gabriele Zecchin