In Italia l’amianto è ancora presente sui tetti di tantissime strutture edilizie. Anche delle scuole, visto che tra il 5% e 10% degli istituti sono stati certificati casi di presenza. Occorre, quindi, ripristinare gli incentivi per chi installa pannelli fotovoltaici sui tetti rimuovendo le coperture cancerogene. Per dare impulso all’iniziativa, da un mese è partita la petizione on line #BastaAmianto, che ha già raccolto 38 mila firme.
Lanciata su ‘change.org’ da Annalisa Corrado, esponente di Green Italia e Possibile, la raccolta di firme è stata presentata il 26 aprile alla Camera dall’on. Rossella Muroni (Liberi e Uguali), che pensa di portare al presidente della Camera Roberto Fico le firme raccolte perchè possa ricordare ai futuri ministri dello Sviluppo e dell’Ambiente di mettere al centro questo tema, pensando all’ambiente e alla salute.
L’obiettivo è “consentire la bonifica di tetti e coperture in amianto” attraverso “un extra-incentivo per la bonifica della copertura”, da realizzare con “incentivi dedicati a chi produce energia pulita attraverso l’installazione di impianti fotovoltaici”.
Uno strumento, prosegue la petizione, con cui “sono stati bonificati oltre 20 milioni di metri quadri di coperture in meno di due anni, realizzando centrali fotovoltaiche diffuse per più di 2.000 MW (Megawatt) di potenza” mentre “la soppressione di questo incentivo ha causato un sostanziale blocco delle bonifiche”. Il modo migliore, è stato detto, per reinserire “l’incentivo sarebbe il decreto di incentivazione delle fonti rinnovabili elettriche per il 2018-2020 in fase di concertazione”.
L’on. Rossella Muroni ha anche ricordato che con la rimozione dell’amianto si “attivano filiere economiche e produttive. La questione ambientale è un tema economico che può dare prospettive e lavoro”.
Nel frattempo, ricordiamo che per la bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto, è possibile presentare la domanda entro il prossimo 30 aprile.
E pensare che la legge che mette al bando l’amianto c’è da tempo: sono passati 25 anni dell’approvazione della legge 257 del 1992, che mise al bando questo materiale dopo che è stato appurato essere cancerogeno: cemento, mattonelle e pannelli impastati con l’amianto, logorandosi liberano polvere piena di fibre cancerogene, che vengono poi respirate.
Rimane il fatto che “la questione è tutt’altro che risolta: nel nostro Paese si stima siano presenti ancora dalle 32 alle 40 milioni di tonnellate d’amianto, tra 1 e 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in fibrocemento amianto su capannoni, strutture, edifici pubblici e privati, mentre sono 75.000 gli ettari di territorio in cui c’e’ una accertata contaminazione”.
Inoltre, “ci sono migliaia di edifici pubblici, tra scuole ed altre strutture, che ancora ospitano manufatti contenenti amianto”. A questo bisogna aggiungere il “grave” delle “morti legate all’esposizione a questo killer silenzioso”, che sono “tra le 3 mila e le 6 mila l’anno.
E aumenta la percentuale di persone che si ammalano senza aver avuto una esposizione di tipo professionale”. Il vicepresidente del Kyoto club, Francesco Ferrant,e ha fatto presente come lasciando fermo il decreto, che potrebbe contenere il ripristino dell’incentivo, “si allunga l’agonia” delle aziende italiane delle rinnovabili e “si allontanano i target da raggiungere a livello internazionale”.
Nelle stesse ore in cui si lanciava l’appello, la Regione Friuli Venezia Giulia veniva ammessa come parte civile davanti al Tribunale di Gorizia nel processo “Amianto quater” per morti e malati nei cantieri di Monfalcone. Assieme alla Regione, rappresentata dall’assessore all’Ambiente Sara Vito, sono stati ammessi come parti civili i sindacati e le Associazioni esposti amianto.
“La battaglia contro l’amianto è un dovere morale – ha commentato Vito – e la Regione anche in questo procedimento ha voluto costituirsi come parte civile, perché e importante essere al fianco delle vittime e chiedere giustizia. Quella degli esposti all’amianto è una tragedia che ha colpito a lungo e in silenzio i nostri lavoratori, le loro famiglie e ancora oggi miete vittime. Sul tema dell’amianto nella presente legislatura abbiamo realizzato importanti azioni concrete: dopo più di vent’anni abbiamo il nuovo Piano regionale, sono stati erogati contributi per la rimozione, stiamo lavorando per il censimento di tutto l’amianto esistente, abbiamo realizzato attività di formazione e di informazione”.
Per Legambiente, quindi, una scuola ogni dieci-quindici nasconde ancora l’amianto. I plessi coinvolti sarebbero tra i 2 e i 3 mila, esponendo al rischio circa 350mila studenti e 50mila docenti, Ata e dirigenti scolastici. Sono più al Nord (13,3%) gli edifici con casi certificati rispetto al Sud, dove la percentuale è del 6% e al Centro che si attesta al 4,6%. Ma in questi ultimi casi, le rilevazioni sono fortemente incomplete.
Ogni anno in Italia secondo il ministero della Salute, si ammalano 3mila persone per l’amianto, di mesotelioma pleurico e tumore al polmone, che lasciano poco scampo.
“Secondo il registro nazionale mesoteliomi – ha detto il presidente dell’Ona Ezio Bonanni a Il Fatto quotidiano poco più di un anno fa – istituito presso l’Inail, che censisce le neoplasie dovute all’amianto (pleura, peritoneo, pericardio e tunica vaginale del testicolo) nel 2012 (ultimo anno analizzato) erano stati registrati 63 casi nel comparto istruzione: 41 uomini e 22 donne. Venticinque insegnanti, sei bidelli, cinque tecnici di laboratorio. Non è dato sapere la loro sorte, ma considerando quanto sia fulminante la malattia dopo la diagnosi, è legittimo supporre che siano tutti deceduti”.
In tutto, sarebbero quattrocentomila le persone in Italia che rischiano di ammalarsi di tumore al polmone soltanto andando scuola. Si tratta di 350mila alunni e i 50mila fra docenti e personale Ata, che studiano e lavorano nelle 2.400 scuole italiane costruite con parti di amianto, praticamente poco più del 5 per cento degli istituti presenti in Italia.
Ma sono dati nemmeno troppo certi. Manca – sostiene l’Ansa – una mappatura completa degli edifici con amianto, mancano le discariche: buona parte del materiale finisce in Germania o, peggio, in discariche delle ecomafie.
Di sicuro, mancano i soldi per fare le bonifiche. I fondi vengono stanziati dai governi, poi vengono stornati verso spese considerate più urgenti. Ci sono scuole, una a Firenze (l’istituto Da Vinci) e una a Oristano (la scuola Deledda), dove il cemento dei muri è impastato con l’amianto. Per evitare che dalle pareti si liberino fibre cancerogene, i presidi vietano di piantare chiodi nei muri, di sbattere le porte, perfino di correre.
Le aree più a rischio, con l’amianto che si sbriciola nell’aria, secondo l’Ispra sono 380: bonificarle costerebbe 40-50 milioni di euro all’anno per almeno tre anni.
Nel 2016, il M5S ha proposto un disegno di legge. “Le mappature si potrebbero fare già oggi dalle foto da satellite – ha detto il deputato Massimo De Rosa -. Occorre rendere conveniente per i privati smaltire l’amianto. Ma prima dobbiamo fare le discariche, e per questo bisogna parlare con la popolazione, far tornare la fiducia nelle istituzioni. Poi occorre svincolare certi interventi dal patto di stabilità”.
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