Ammesso e non concesso che le prove Invalsi siano un parametro di riferimento valido della qualità del lavoro degli Istituti scolastici, colpisce come tali prove dimostrino, nell’ultimo triennio, un significativo e costante calo dei risultati negli Istituti di tutto il Paese.
Viene da pensare, dando per vera l’attendibilità di tali prove, che le politiche degli ultimi tre anni siano state tutt’altro che proficue.
D’altronde, se così fosse, non ci sarebbe da stupirsi poiché le politiche scolastiche sono state caratterizzate spesso, anche se non sempre, da un susseguirsi di riforme che hanno evidentemente destabilizzato la struttura. Tutto ciò è avvenuto e avviene senza mai realmente ascoltare chi nella scuola lavora. E di certo otto anni di blocchi stipendiali ed oltre vent’anni di precarietà nel sistema di reclutamento non devono aver aiutato.
La politica del ventennio berlusconiano e del breve ma “produttivo” periodo renziano, affascinata da improbabili rivoluzioni liberali ed impraticabili “terze vie”, infatuata di un mondo anglosassone sempre più lontano dall’Europa e dalle nostre realtà, ha cercato di importare modelli che culturalmente mai ci sono appartenuti.
Era quindi impossibile immaginare che tale distanza culturale avrebbe prodotto disastri?
Riesce difficile crederlo. Allora perchè?
Un popolo ignorante è un popolo facile da condurre e da condurre dove è più utile a chi realmente determina le sorti dello Stato e della parte meno vivace del suo mondo produttivo.
Se invece vogliamo una società vivace, attiva, costruttiva ed una popolazione motivata, dobbiamo accettare l’idea di una collettività di individui che si ponga in maniera critica nei confronti di chi governa.
Una società alla cui creazione solo una scuola pubblica vivace e motivata può contribuire in maniera decisiva. Una scuola di donne e uomini che si sentano realmente participi della costruzione della società di domani.
Donne e uomini che percepiscano quel rispetto che meritano e che da tempo gli viene negato.
La responsabilità è di quella parte della politica che da una decina d’anni ha abbandonato la barricata che la vedeva difendere la scuola pubblica italiana.
Su quella barricata è necessario tornare.
Le riforme Moratti, Gelmini e Renzi hanno inciso profondamente sul tessuto scolastico e purtroppo è impossibile tornare indietro. E’ possibile però, partendo dall’esistente, iniziare un’azione costante e costruttiva di riordino del sistema.
I decreti attuativi finora approvati sembrano essere meno intrusivi di quanto si potesse temere e l’approvazione del Decreto Madia riconosce, sebbene molto meno di quanto il personale statale e quindi scolastico meriterebbe, la necessità di finanziare un seppur parzialissimo recupero del potere d’acquisto degli stipendi.
Non basta, ma può essere un inizio.
E’ vitale che la politica aiuti il personale scolastico a ritrovare il gusto dell’esercitare quello che, con le dovute risorse, è uno dei mestieri più belli ed importanti del mondo.
Dobbiamo tornare a far percepire l’importanza dell’insegnamento, la consapevolezza che intorno agli insegnanti ci sono impiegati, dirigenti e personale scolastico senza cui nulla sarebbe possibile.
La politica potrebbe quindi insistere sul ripristino del potere d’acquisto degli stipendi. Non come proposta sindacale, che non le spetta, ma come proposta politica per far tornare la scuola pubblica al centro dell’azione dello Stato.
La politica potrebbe accentuare la spinta a valorizzare il merito. Merito che non può essere stimolato da banali bonus premiali ma che deve essere letto come carico di responsabilità per i più capaci.
La politica, come in parte sta già facendo, dovrebbe potenziare la campagna di assunzione del personale docente, unica arma contro il precariato generato dai passati governi, e sostenere l’impegno statale nel sostegno alla scuola dell’infanzia.
Recuperare il livello di conoscenze e competenze dei nostri giovani, iniziando con l’opporsi alla riduzione a quattro anni della scuola di II grado e ripristinando nei licei le ore di lezione scorporate per l’alternanza scuola-lavoro.
Molto altro ci sarebbe poi di fare, iniziando da una significativa campagna d’ascolto di tutto il personale scolastico. Una campagna reale, che porti poi ad interventi concreti che rispettino, al contrario di quanto fatto in passato, quanto emerso.
Il mondo della scuola è, per chi punta alla giustizia sociale attraverso la creazioni di pari condizioni ed opportunità per tutti i cittadini, un banco di prova che non può essere sottovalutato.
Luca Fantò