Di Salvatore Distefano
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nonostante la gravità della situazione italiana determinata dall’emergenza Coronavirus, non ha fatto passare sotto silenzio la strage delle Fosse Ardeatine perpetrata dai nazisti il 24 marzo del 1944. Con una dichiarazione, il capo dello Stato ha voluto ricordare l’importanza della Resistenza al nazifascismo e il sacrificio compiuto dagli italiani per sconfiggerlo.
E’ necessario, quindi, non dimenticare e continuare l’azione di coloro che si sono battuti per affermare i valori che stanno a fondamento della nostra Costituzione.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine (una cava di pozzolana della città di Roma) è stato uno dei più gravi crimini di guerra commessi in Italia dal nazismo, anzi uno dei più gravi crimini di guerra di tutta l’Europa occidentale e sud-occidentale: 335 civili, tra questi il giovane catanese FerdinandoAgnini, arrestati precedentemente perché sospettati di antifascismo o detenuti come ostaggi, furono uccisi per rappresaglia dopo un attentato compiuto a Roma, in via Rasella, contro una colonna tedesca. Infatti, le SS e la Wehrmacht, per stroncare sul nascere ogni resistenza all’occupazione dell’Italia, seguita all’armistizio di Cassibile e alla decisione dell’Italia di diventare paese co-belligerante degli anglo-americani, attuarono una durissima guerra ai civili.
Dopo l’attentato di via Rasella, eseguito dai gappisti romani, i tedeschi reagirono in modo feroce: all’inizio volevano radere al suolo tutto il quartiere, ma dopo un concitato scambio di opinioni tra Kappler, Kesserling, Maeltzer e Mackensen, i responsabili militari in Italia e nel Comando supremo della Wehrmacht, concordarono sul fatto che si dovessero adottare misure di rappresaglia, sicuri che azioni del genere, concepite come punizione, vendetta o espiazione, fossero pienamente giustificate. Tra l’altro temevano che, considerate le dimensioni dell’attentato partigiano e la valenza simbolica del luogo in cui si era svolto, sarebbe stato un segnale forte per la popolazione italiana, soprattutto dopo la diffusione della notizia.
Kesserling, dopo essersi consultato con Berlino, decise di far fucilare “dieci detenuti politici già condannati a morte per ogni tedesco caduto” e diede mandato a Kappler di scegliere le vittime per la rappresaglia. Così, nelle prime ore del pomeriggio del 24 marzo iniziò il carico degli ostaggi nelle carceri romane e poiché ne mancavano 50 questi vennero richiesti e sollecitamente consegnati “in sovrannumero” dal questore Caruso. “Dieci per uno” fu la parola d’ordine nazista, ma essa fu eseguita in forma aberrante: non solo si trattava nella quasi totalità dei casi di detenuti in attesa di giudizio o anche condannati ma non a morte oppure di ebrei razziati, ma si sbagliò, nella fretta anche nel computo: invece di 330 le vittime condotte al luogo dell’eccidio furono 335 e la differenza è data da coloro che furono caricati sugli autocarri <<per sbaglio>> dal boia Kappler. Nella selezione Kappler fu aiutato sicuramente da Priebke, che era un suo stretto collaboratore e conosceva bene Roma; inoltre, nella sua sfera di competenza ricadeva la gestione della schedatura dei detenuti.
Il primo ad avere qualche segnale del massacro fu un sacerdote che, percorrendo la via Ardeatina nel pomeriggio del 24, trovò bloccata la strada. La strage fu compiuta fucilando alla nuca le vittime prescelte e sospingendole verso l’interno della cava. Durò fino alle 9 del 25 marzo finché le grotte furono fatte saltare con le mine.
A cose fatte il Comando germanico emanava il lugubre comunicato che alla fine si concludeva con la terribile frase:”Quest’ordine è già stato eseguito” e che trovò l’approvazione dei loro servi fascisti, come il direttore del “Messaggero” Bruno Spampanato che elogiò <<l’esemplare giustizia tedesca>>.
Peraltro, i tedeschi e le forze della reazione, per denigrare la Resistenza, diffusero la menzogna secondo cui i nazisti avrebbero sospeso l’ordine di fucilazione se si fossero presentati i responsabili dell’attentato; si trattava di una sfacciata menzogna che è stata riproposta nel corso degli anni, ma smentita categoricamente con testimonianze, film, articoli, saggi. E soprattutto con un bellissimo libro dello storico Alessandro Portelli: L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli Editore, 1999 e 2001, e quello autobiografico di uno dei protagonisti dell’azione partigiana, Rosario (Sasà) Bentivegna, Via Rasella. La storia mistificata: carteggio con Bruno Vespa, manifesto libri, 2006. Vespa, infatti, nel suo libro Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, aveva accusato i partigiani di aver commesso un gesto inutile e contrario alle ragioni stesse della Resistenza e Bentivegna evidenziò in modo inoppugnabile le omissioni, le distorsioni e le false informazioni utilizzate dal noto giornalista. Nella lettera con la quale Sasà Bentivegna chiudeva la polemica, tra l’altro, c’era scritto” […] E no, mio caro: il suo giudizio non è un problema esclusivamente suo. Credo nella sua buonafede, ma il problema dei problemi è perché lei ha dato una versione non corretta dei fatti, condita di insinuazioni e ambiguità, perché aveva orecchiato le consuete mistificazioni e le ha riportate senza la necessaria verifica. Questa, caro Vespa, è la “toppata”. Per il resto, continui a pensarla come le pare. Cordiali saluti, Rosario Bentivegna”.
La difesa della memoria è uno dei compiti principali del contrasto al “revisionismo storico” e al rovesciamento delle categorie storiografiche degli ultimi decenni.
Il nostro impegno deve essere rivolto a una corretta ricostruzione storica, attraverso fonti, documenti, testimonianze, racconti e tanto altro, affinché le nuove generazioni possano conoscere appieno il passato e comprenderne l’importanza per agire nel presente.
Salvatore Distefano
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