Anche quest’anno scolastico è giunto al termine. Finalmente, è il caso di dire. Ed è finito nel peggiore dei modi. In buona parte già si sapeva che sarebbe andata così: una pacca sulla spalla e via, per tutti, anche per i più inveterati fannulloni. Neanche non bastasse la manica larga che ormai è diventata una ferale consuetudine della scuola italiana.
Ma una piccola, parziale sorpresa non è mancata.
Già, perché l’ordinanza ministeriale 11 del 16 maggio conteneva un passaggio, peraltro molto importante, non chiaro e pertanto lasciato all’interpretazione, come fosse una quisquilia: l’assenza di alcun elemento valutativo relativo all’alunno, condizione che consentiva di non ammettere alla classe successiva, si riferiva all’intero anno scolastico oppure al solo periodo di DaD?
La ratio sembrava far propendere decisamente per questa seconda ipotesi, in caso contrario non si potrebbe comprendere il senso di aver specificato che l’assenza di valutazioni non doveva essere imputabile a una difficoltà legata alla tecnologia (si vedano gli articoli 3 e 4 dell’ordinanza, rispettivamente al comma 7 e 6).
Ma – ovviamente, vien da dire – non è questa l’interpretazione che hanno dato vari (forse molti?) dirigenti, forse supportati da alcuni uffici scolastici territoriali.
In una scuola oppressa da una burocrazia pletorica e arrogante al punto da essere diventata ormai sostanza – oltre che forma – della scuola, il comandamento numero uno è del resto sempre quello di mettersi al riparo da ogni ricorso.
Dunque, ecco l’inevitabile interpretazione di manica larga di un passaggio che evidentemente il ministero non ha voluto chiarire. Il risultato, come molti docenti avranno constatato, è stato aberrante. E’ bastato infatti che vi fosse anche un solo voto (!) nella pagella del primo quadrimestre (fotografia dell’andamento nel periodo pre-Covid, dunque senza attenuanti), accompagnato per il resto solo da NC, per ammettere l’alunno alla classe successiva.
Studenti che hanno smesso di sedersi ai banchi di scuola nel dicembre 2019 potranno, se vorranno, frequentare il prossimo anno scolastico la classe successiva. Ciò configura non solo e come detto un’aberrazione, bensì anche un insulto ai docenti che hanno lavorato seriamente e un potente calcio sferrato nel didietro dei compagni di classe che hanno sempre portato avanti con serietà e correttezza il loro percorso.
Ma nella scuola di oggi, in cui periodicamente riemerge per poi inabissarsi all’istante la parola “meritocrazia”, tutto ciò non conta nulla. L’importante è sempre e solo mettersi al riparo – in gergo sui usa un’altra espressione, assai più colorita – dai ricorsi.
Nascondiamole bene allora, verrebbe da dire, queste cose. Celiamo bene la polvere sotto il tappeto, perché là fuori molti non sanno che la scuola è anche questo, che è perfino questo. Molti non sanno fino a che punto si è spinto il degrado del sistema scolastico italiano. Il limite raggiunto è tale per cui non siamo lontani, forse, dall’implosione del sistema-scuola.
La clamorosa ignoranza che molti studenti italiani mettono in mostra quando sottoposti a una valutazione comparativa in campo internazionale con i loro coetanei di altri Paesi è lo specchio fedele dell’epocale fallimento del sistema che si è costruito. Non è più, questa, una scuola semplicemente da rivedere. E’ una scuola tout court da rifondare.
In questo desolante quadro la pandemia del Covid altro non è stata se non l’ennesima cartina di tornasole di un disastro che è stato costruito nel tempo con incredibile pervicacia, con la precisione e l’amorevole dedizione del più abile degli artigiani. E i colpi di scalpello continuano evidentemente tuttora. Nulla è stato affidato al caso, nel perdurante bombardamento che ci consegna ormai solo brandelli di scuola.
Si è colpito e si continua a colpire in modo scientifico affinché rimangano solo macerie. Vedremo chi, come e quando saprà mai porre nuove fondamenta in questa scuola letteralmente coventrizzata dal formidabile esplosivo di marca “B&B”, ovvero Burocrazia e Buonismo, i due ferrei capisaldi su cui si impernia il sistema educativo italiano.
Questo ministro, se vuole, può fare molto. Per esempio cominci l’opera di smantellamento della sovrastruttura burocratica, di quei mille adempimenti che sottraggono risorse preziose ai docenti proprio nei periodi più carichi di incombenze, ovvero la fase iniziale e quella terminale dell’anno scolastico. In quello che si è appena concluso gli insegnanti sono stati, more solito, massacrati dalla modulistica e dai documenti, in un accresciuto bailamme di acronimi da far girar la testa: tra una video lezione e una video interrogazione, tra un profluvio di circolari – pare che qualche scuola abbia surrettiziamente intrapreso una gara nazionale a chi ne produce di più – e email degli studenti a cui rispondere (anche alle 11 di sera), sono stati colpiti da una veemente grandinata di PAI, PEI, PIA, PFI, PDP.
Si mettano, in viale Trastevere, nei panni di chi ha magari 11 classi o finanche 18 (chissà se lo sanno, a palazzo, che ci sono docenti di geografia con 18 classi…) e provino a immaginare che cosa significa questa gragnola di incombenze perlopiù inutili quando si è impegnati nel tentativo di fare al meglio il lavoro dell’insegnante, che è altro rispetto a quello del burocrate, del compilatore di una ridda di moduli e schede.
Se il ministro vuole cimentarsi quest’estate in un’opera che inizi a tracciare la via di un “New Deal“ della scuola italiana, demolisca senza esitare la riforma degli istituti professionali entrata in vigore nel 2018-19. Quella, per capirci, che regala la promozione urbi et orbi il primo anno; quella che, ancora nelle scorse settimane, ha attanagliato migliaia di docenti e tolto letteralmente il sonno ai coordinatori di classe, per arrivare a produrre quella cosa di sontuosa inutilità che è il PFI dell’alunno, grottesco coacervo di tabelle e di numeri che da un lato ha ridotto ancor più i docenti a burocrati e dall’altro ha generato un mostro che incuterebbe timore anche al più ardito – e sfaccendato – dei genitori che volesse addentrarsi nei meandri oscuri di questo documento.
Sarebbe, caro ministro, il primo atto di quella spallata alla burocrazia di cui la scuola italiana ha bisogno urgente e improrogabile; una scuola che oggi pare invece compiacersi di quell’enfasi burocratica utile solo quale cortina fumogena volutamente alimentata, come vento che soffia su un incendio estivo, nel velleitario tentativo di nascondere il nulla – o quasi – che è rimasto dopo le incessanti deflagrazioni del B&B.
Se poi volesse mettere il turbo al rinnovamento, faccia in modo di togliere finalmente l’alunno dall’aureo piedistallo sul quale sta assiso ope legis e dinanzi al quale i docenti sembrano doversi genuflettere. Dica poi chiaramente una volta per tutte a certi dirigenti che la buona scuola non è quella che in cui si boccia di meno e in cui i voti sono più alti solo perché la manica si è allargata; ancora, dica a certi dirigenti che la scuola non può andare avanti in ossequio ai soliti due comandamenti, ovvero pararsi la parte meno nobile del corpo e regalare promozioni per evitare la dispersione scolastica e acquisire più iscrizioni.
Agli insegnanti, liberati possibilmente dall’obbligo – oggi per carità inderogabile, pena cento frustate sulla schiena denudata – dei recuperi e dei recuperi dei recuperi, nonché da altre amenità del genere terribilmente diseducative, chieda perentoriamente di dare senza timore alcuno giudizi obiettivi, seri, perché – non va sottaciuto – la seconda “B”, non è meno tossica e distruttiva della prima; anzi, vero è casomai il contrario. Chissà che la scuola non possa allora finalmente mostrarsi nelle sembianze di un’araba fenice. Ma occorre fare in fretta perché per ora si vede solo un grande rogo e potrebbe presto non esservi più nulla che possa risorgere.
Il senso di profonda frustrazione e rassegnazione, lo spleen in cui sono caduti molti insegnanti, ne danno una eloquente riprova.
Sergio Mantovani
Un nostro affezionato lettore, docente in un Istituto Comprensivo in cui vige la settimana corta,…
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