Il 17 gennaio scorso, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca ha presentato ufficialmente a Roma il suo ultimo rapporto ANVUR 2023, “ANALISI DI GENERE”, dal quale – in strettissima sintesi – emerge che nonostante i dati indichino una maggiore presenza femminile nell’istruzione universitaria, si evidenzia un divario di genere per quanto riguarda gli ambiti di studio scelti dalle donne, iscritte prevalentemente nelle aree artistiche, umanistiche e sociali, rispetto a quelli nei quali emergono essere prevalenti gli uomini, ossia le scienze ingegneristiche, tecnologiche e matematico-informatiche.
Come riportato ieri dal Fatto Quotidiano, il focus dell’ANVUR mostra che nulla è cambiato rispetto a dieci anni fa, anzi, si sono registrati dei passi indietro: nell’anno accademico 2011-2012 gli immatricolati nelle discipline cosiddette Stem – acronimo che sta per Science, Technology, Engineering, Mathematics – erano per il 60,7 per cento maschi e per il 39,3 per cento femmine. Le stesse percentuali si ritrovano dieci anni dopo, se si analizzano le immatricolazioni dell’anno accademico 2021-2022. Se si considerano gli iscritti – gli studenti, cioè, che si iscrivono dal secondo anno in poi – si osserva una lieve flessione della presenza femminile, che dal 37,9 per cento del 2011/2012 scende al 37 per cento dieci anni dopo. Inoltre, la percentuale di donne italiane iscritte nel settore delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (15,1%) è nettamente inferiore alla media europea (19,7%).
La domanda che ormai sta al centro di ogni discussione su questa “divergenza di genere” – studi scientifici a maggioranza maschile e studi umanistici a maggioranza femminile – è la più semplice di tutte: perché?
Sta forse scritto nel patrimonio genetico femminile che è meglio, più opportuno e adatto alle ragazze studiare lettere, storia o filosofia invece di matematica, ingegneria o fisica? Certamente no.
Per Il Fatto Quotidiano i responsabili potrebbero essere gli stereotipi di genere e per sconfiggerli occorre cominciare presto a individuarli. Ma chi li costruisce questi stereotipi? Tutti possono avere una quota di responsabilità: insegnanti, genitori, chiunque abbia una certa influenza sui bambini potrebbe propagare cliché sulle abilità di maschi e femmine nelle materie Stem, influenzando così le preferenze e l’atteggiamento verso la matematica.
Sarebbe proprio alla scuola primaria che nasce e prende forma quell’entità mostruosa chiamata “l’ansia della matematica”, un altro dei fattori chiamati in causa per spiegare il gap di genere in questa materia. Tutti provano questa indefinibile apprensione che ha a che fare con i numeri e i problemi e la sua ingerenza è più forte nelle ragazze che nei ragazzi.
Ciò considerato – conclude il quotidiano – è importante che si intervenga già in questa fase e poi si prosegua con programmi di orientamento nei successivi cicli. Un approccio che intervenga sui bambini all’inizio del percorso scolastico ha più possibilità di incidere su eventuali stereotipi di genere che si formano in età precoce.
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