In occasione delle Giornate della memoria, molti studenti hanno seguito, in diretta streaming, ieri 20 gennaio, sul sito del Corriere della Sera, la testimonianza di Liliana Segre. Milanese, di origine ebraica, la Segre fu internata nel campo di concentramento di Auschwitz, nel 1943, a soli 13 anni, insieme ad altri 776 bambini, molti dei quali uccisi lo stesso giorno del loro arrivo. Liberata dai Russi, nel 1945, si chiuse nel silenzio per molti anni. Solo in seguito, a partire dagli anni ’90, ha deciso di raccontare la sua tragica esperienza agli studenti degli istituti superiori. Nominata senatrice a vita da Sergio Mattarella nel 2018,l’anno scorso, in seguito agli insulti ed alle minacce ricevute sulla rete da gruppi neofascisti, le viene assegnata la scorta dal prefetto di Milano.
Quello che colpisce, nella testimonianza di Liliana Segre, è l’analisi dello smarrimento coscienziale che si è determinato in Europa negli anni del totalitarismo nazifascista, il pesante condizionamento culturale ed il conseguente conformismo di massa. L’accusa di non avere ricevuto nessun segnale di compassione da parte degli italiani, nel momento in cui gli ebrei venivano deportati. Mentre, subito dopo la guerra, si tendeva a censurare quanto accaduto come qualcosa d’incredibile e d’inspiegabile. E tutti, ebrei compresi, cercavano di rimuovere e di divertirsi.
Oggi, a distanza di quasi ottant’anni, sarebbe bello poter dimenticare tutto, voltare pagina, abolire le “giornate della memoria”! Ma i gruppi razzisti tornano perennemente a germinare nel sottobosco della cultura, come fungaia venefica, inestinguibile. Perché ciò è accaduto? Perché accade di nuovo? Sempre? Possiamo utilizzare quattro schemi di spiegazione. Quello culturale, quello economico, quello sociologico, quello psicologico.
La spiegazione culturale. Fra Ottocento e Novecento sorgono correnti di pensiero che celebrano l’individuo potente e vitale rispetto a quello debole e rinunciatario (Nietzsche); l’istinto come essenza primaria dell’uomo (Freud). Movimenti culturali che esaltano le razze e le nazioni (il panamericanismo, il panslavismo ecc., ma soprattutto il pangermanesimo). A quell’epoca, del resto, la scienza non era giunta ad affermare, su base oggettiva, che non esistono le razze perché gli uomini hanno in comune il 99, 5 del genoma. E potevano così proliferare teorie pseudoscientifiche come quella sulla leggendaria esistenza di una razza superiore (gli “arya” o signori, uomini biondi ed atletici, provenienti dal cuore della steppa russa). A tutto questo si aggiungeva l’ancestrale pregiudizio dei cristiani contro gli ebrei, ritenuti deicidi, popolo “senza terra” disperso, per punizione, fra tutte le genti.
La spiegazione economica. Gli ebrei non avendo mai coltivato il suolo, si erano dedicati all’impresa, alle libere professioni, al prestito monetario. Dire “ebreo”, nell’immaginario collettivo, equivaleva a dire usuraio, profittatore. Sui capitali giudaici si appuntava l’ingordigia degli Stati, enfatizzata dalle deliranti affermazioni del libro di Hitler (Mein kampf), secondo cui essi cospiravano, a livello internazionale, per espropriare l’Occidente cristiano.
La spiegazione sociologica. La Germania, venuta fuori dalla sconfitta della prima guerra e sanzionata, in modo pesante, dalle potenze vincitrici, nutriva forti sentimenti di rivincita ed alimentava il bisogno di un “gruppo bersaglio”, di un nemico interno (gli ebrei) su cui scaricare la responsabilità della disfatta.
La spiegazione psicologica. Il sociologo Theodor Adorno, subito dopo la guerra, nella sua opera “La personalità autoritaria”, analizzava i meccanismi mentali che avrebbero condotto i criminali nazisti al genocidio. La sua tesi è passata nei manuali col nome di “sindrome di Adorno”. Personalità svantaggiate da un’evoluzione problematica, da un ambiente sociale frustrante, da sentimenti d’inadeguatezza, sarebbero portate, più di altre, ad “identificarsi col potere”, con modelli autoritari, con la rigidità, individuando nei deboli la propria parte perdente e scaricando l’aggressività su di essi. Naturalmente, non si tratta di un congegno deterministico. C’è sempre di mezzo la libera autodeterminazione del soggetto, la sua sensibilità morale e valoriale. Tuttavia lo schema di Adorno può servire a comprendere l’atteggiamento anaffettivo di molti delinquenti.
Luciano Verdone
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