Sta suscitando molta commozione nel mondo della scuola la notizia della scomparsa di Paola Falteri, professore associato di Antropologia culturale e dell’educazione presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia.
Paola Falteri era molto conosciuta soprattutto fra gli insegnanti delle scuole del primo ciclo sia per la sua intensa attività di formatrice sia per il suo impegno più che decennale sui temi della multiculturalità.
Fra i primi a ricordarla è stato Antonio Brusa, già docente di storia all’Università di Bari e presidente della Società italiana di didattica della storia.
“Paola Falteri – scrive Brusa nel suo profilo Facebook – è stata una combattente per l’insegnamento della storia. Scrisse un libro con Mila Busoni nel quale rompeva le barriere fra l’insegnamento della storia e quello dell’antropologia e sosteneva che fin dalle elementari ai bambini si dovessero offrire orizzonti culturali vasti e la conoscenza di popolazioni lontane e diverse”.
“Lavorai con lei nell’Osservatorio interculturale, diretto da Milena Santerini – ricorda ancora Brusa – e dovevamo affrontare la questione: quale storia insegnare in una società ormai multiculturale come quella italiana? La storia mondiale, fu questa la nostra risposta, l’unica in grado di abbracciare tutti, uomini e donne di ogni parte del mondo”.
“Ci lascia, Paola – conclude lo storico – mentre dal Governo giungono sirene identitarie e la proposta di una storia che, di fronte all’esplosione delle diversità umane, chiede agli italiani di ripiegarsi su se stessi, sulle proprie leggende, sui Pinocchi e sui Libri Cuore”.
Negli anni ’70 Paola Falteri iniziò a collaborare con il Movimento di Cooperazione educativa contribuendo in modo determinante alla nascita del Gruppo nazionale di Antropologia.
Nel sito del Movimento sono in via di pubblicazione molti ricordi di insegnanti che hanno avuto la possibilità di lavorare con lei.
“Per me – scrive Diana Cesarin che con Falteri ha collaborato per lungo tempo – l’incontro con lei è stato fondante. Sostanzialmente per una ragione, a cui tutto il resto probabilmente è riconducibile: ha saputo comunicarmi il senso profondamente democratico e inclusivo dell’uso del concetto antropologico di cultura: non c’è persona al mondo priva di cultura. Per questo ognuno, ognuna ha qualcosa da dire e da dare. Per questo merita, sempre, a priori, rispetto. Per questo va ascoltata, ascoltato”.
Scrive Giancarlo Cavinato, per anni segretario nazionale MCE: “Ricordo la nascita del gruppo di antropologia culturale a Greve in Chianti nel luglio 1976 e la nascita dei filoni sulla fiaba, sulla preistoria e sulla ricerca d’ambiente”.
A dimostrazione della sua lungimiranza e della sua grande attenzione ai segnali di cambiamento sociale, poco meno di mezzo secolo fa aveva coordinato una ricerca sulle immagini degli stranieri nei libri di testo.
Nerina Vretenar, storica insegnante del Movimento, riporta un passo ripreso da una pubblicazione di Paola Falteri che risulta oggi quasi profetico: “La forza e il senso del MCE sta nel privilegiare ottiche e soggetti che non sono né egemoni né vincenti […] per questa sua opzione di fondo riesce ad esprimere ricchezza e pertinenza di proposte anche in rapporto al mutamento introdotto con la composizione multietnica della società. […] l’attenzione alla diversità è parte costitutiva della pedagogia popolare e di una educazione centrata sulla costruzione dell’identità.”
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