Docenti a tutti gli effetti come i colleghi che insegnano nelle scuole statali. Con i medesimi compiti e doveri, ma con retribuzioni e diritti di gran lunga inferiori.
Nessuno può dire con esattezza quanti siano. Tuttavia, se consideriamo che gli insegnanti delle scuole non statali (paritarie e legalmente riconosciute) sono complessivamente circa 115.000, suddivisi in 16 mila scuole, calcolando una percentuale prudente del 20%, si arriva alla bella cifra di 23.000 lavoratori. Le norme sulla parità impongono, infatti, alle scuole un tetto massimo del 25% di contratti di lavoro parasubordinato, mentre il restante personale deve essere assunto come dipendente a tempo determinato o indeterminato,
I gestori hanno scoperto e subito sfruttato questa nuova tipologia di contratto e l’hanno proposta soprattutto ai neo assunti. E questi sono i più precari fra i precari perché, in caso di malattia, il rapporto di lavoro si sospende e non hanno diritto ad alcuna copertura, né pubblica né da parte del datore di lavoro. E se questa si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata dell’incarico, o oltre 30 giorni, il contratto può essere immediatamente rescisso. Allo stesso modo, in caso di gravidanza il contratto, in pratica, viene sospeso (naturalmente senza alcuna retribuzione) e prorogato per 180 giorni.
Anche per i contributi vi è un notevole risparmio da parte dei datori di lavoro perché per i LAP è prevista l’iscrizione alla Gestione separata dell’Inps. Per non parlare, poi, della retribuzione – che la legge lascia alla assoluta discrezionalità del datore di lavoro – che varia da scuola a scuola e da regione a regione, fino a toccare punte minime di 1,7 euro l’ora in città del Sud.
Ma si sa, pur di “fare punteggio” – come si dice in gergo – i precari sono disposti anche a sobbarcarsi paghe inferiori anche a quelle di collaboratori domestici. E se fino a 15-20 anni fa, si chiamavano soltanto “precari delle private” e prendevano più o meno gli stessi stipendi, adesso si chiamano “LAP”, che suona anche peggio.