Picchiano sconosciuti in strada senza motivo, accoltellano genitori e docenti, lanciano oggetti dall’alto con l’intenzione di ferire o uccidere qualcuno, bullizzano i compagni più fragili, rubano, rapinano, ammazzano. Insomma, ogni giorno la cronaca non manca di ricordarci che il fenomeno della violenza giovanile sta raggiungendo livelli di guardia.
Ecco allora che quando il professore Daniele Novara, noto pedagogista, afferma di non apprezzare “Adolescence”, la serie che spopola su Netflix, perché a suo avviso non si può comprendere così l’adolescenza, un’età “difficile ma non può essere capita partendo da situazioni limite”, noi non siamo d’accordo con lui. È vero, la stragrande maggioranza dei ragazzi e delle ragazze è sana e ricca di valori positivi, ma non si può affermare, alla luce dei dati statistici nazionali e internazionali, che quello su cui si indaga nella serie – un giovanissimo ragazzo accusato di avere ucciso una sua coetanea – sia un caso limite.
Per carità, forse l’assassinio lo è, ma le forme di violenza da parte di adolescenti che spesso sconfinano nella pura malvagità, esigono uno studio, un’analisi, la convocazione di veri e propri stati generali. I maggiori esperti in materia si siedano attorno a un tavolo per tentare di penetrare quest’età della vita, per comprendere da dove provengano caos e ferocia.
Un punto di vista interessante è quello che esprime Franco del Corno – psicologo e psicoterapeuta, socio fondatore dell’Associazione per la Ricerca in Psicologia clinica, docente per oltre vent’anni presso le Università di Bologna, Milano-Bicocca e Aosta – nel suo saggio “Ripartiamo dai genitori”.
Nel corso di un’intervista a Vanity Fair, lo specialista tiene a precisare, riguardo ai fenomeni legati ai comportamenti aggressivi, che l’adolescenza presenta problematiche complicate con molteplici fattori in gioco che troppo spesso si tende a semplificare.
Sollecitato sulle cause dell’aggressività degli adolescenti, lo psicoterapeuta sottolinea che il tema vero è il rapporto che spesso non c’è fra l’adolescente e il mondo degli adulti, che si tratti dei genitori, degli insegnanti, dei sacerdoti degli oratori o di qualunque altra possibile figura di riferimento. Se queste figure non sono in grado di ascoltare e di provare a condividere con curiosità e interesse quello che passa per la testa di un adolescente, quest’ultimo si ritrova da solo e farà riferimento esclusivamente al suo gruppetto di amici, che come lui sono spesso nelle medesime condizioni di insicurezza.
Da qui agli episodi di violenza il passo può essere breve: può diventare facile – sostiene Del Corno – tradurre in gesti, in azioni concrete, cose e pensieri che riescono difficili da maneggiare, da gestire in una maniera più riflessiva. Il passaggio all’atto è sempre l’espressione di una difficoltà a usare il pensiero, la riflessione: uso i muscoli quando non sono stato in grado di imparare a usare la testa.
Parola d’ordine, dunque, “ascolto”. Ma ascolto senza giudizio, perché se i figli sentono che un genitore è in una posizione di ascolto e non di giudizio aprioristico o di imposizione delle proprie idee, sono invogliati a parlare e quindi a confidarsi, a esprimere anche quelle che sono le motivazioni che portano a mettere in atto certi comportamenti. I gesti aggressivi, le reazioni violente – conclude lo specialista – sono la traduzione in atti di quello che non è possibile esprimere e condividere parlando, riflettendo, rendendo partecipi di quello che passa per la testa altre persone importanti della vita, come la famiglia e i genitori, appunto.
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