Gentile Redazione,
sono un docente di sostegno, nonché abilitato all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, in una scuola secondaria di secondo grado presso un istituto professionale della provincia di Reggio Calabria. Ecco alcune considerazioni.
“Filiera formativa tecnologico-professionale”, nomen omen. Così si chiamerà la riforma che ha in mente il ministro Valditara per gli istituti tecnici e professionali. Un taglio di fatto all’organico di tutti gli operatori della scuola. Tutto dipenderà dagli accordi di rete con il mondo dell’impresa. Avremo nuovi insegnanti-imprenditori che ci racconteranno come gira il mondo.
Un aumento delle ore di Pcto per formare i ragazzi e fornire loro le “competenze” necessarie per inserirli nel mondo del lavoro, sempre che conoscano un minimo di storia e geografia o magari riescano a scrivere correttamente, nel tentativo subdolo di privatizzare la scuola. Il risultato della riforma piace ai liberisti della prima ora, ma si rivelerà dannoso per la perdita di valore del ruolo docente a favore del mondo dell’impresa. Purtroppo questo passaggio è iniziato parecchi anni fa con il ministro Luigi Berlinguer che ha aperto il mondo della scuola ai privati, favorendo la nascita delle università telematiche che hanno reso il conseguimento dei diplomi e della laurea frutto di un business da parte di imprenditori spregiudicati.
Il primo contatto tra scuola e impresa è stato proprio questo, con conseguente livellamento dei saperi verso il basso. Il secondo passaggio è stata la riforma del governo Renzi che con la legge 107 del 2015 ha dato forza all’autonomia scolastica. L’indirizzo politico della riforma sembra essere quello di condurre all’aziendalizzazione del sistema scolastico. In continuità con le riforme dei Governi precedenti, la riforma della “Buona Scuola” ha iniziato a staccarsi dal “principio di unitarietà del sistema scolastico”, sancito dalla Costituzione, al fine di legare maggiormente gli istituti scolastici ai contesti produttivi locali. La stessa figura del preside è stata trasformata in quella del “dirigente scolastico”, con poteri più ampi. Addirittura si riparla di gabbie salariali, un primo passo, di fatto, verso l’autonomia differenziata.
Di fronte a tutto questo vi è un silenzio avvilente dei docenti, impegnati, proprio come gli steward o le hostess, con i volantini in mano, a propagandare il proprio istituto negli open day, attaccati solo al ricatto dei “venti euro” di aumento nel cedolino. Non c’è dubbio che ogni mestiere o professione ha una sua specificità, ed è per questo che la scuola è un contenitore di vari indirizzi, tant’è che già esistono i licei, le scuole tecniche e quelle professionali.
È assolutamente imperdonabile, invece, che si rinunci alla sua essenza, la formazione della persona. Pensiamo all’educazione affettiva che il ministro Valditara vuole introdurre dopo il dramma in cui si è consumato il delitto della povera Giulia Cecchettin. Ma è credibile un’iniziativa del genere o basterebbe soltanto dare spazio all’aspetto educativo che ogni giorno il docente deve consegnare ai suoi studenti, invece di oberarlo di attività burocratiche inutili? FUFFA SU FUFFA !!!! L’educazione affettiva bisogna coltivarla ogni giorno, in famiglia, nella società, non è necessario che qualcuno la venga ad insegnare. I colleghi che incontro a scuola sono continuamente preoccupati dagli impegni extradidattici, ansiosi di mettere le “carte a posto”, dimenticando che il docente è una figura semiprofessionale. Si assiste ad involuzione del mondo scolastico che svilisce i più elementari aspetti dell’umanesimo educativo con subdole tecniche di deprivazione della libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione.
Gli imprenditori è giusto che vengano considerati “ospiti” nella scuola e che rispondano essi alle esigenze del mondo accademico e non al contrario. Questo non vuol dire isolare la scuola dal contesto sociale e produttivo, significa invece continuare a rispettare i ruoli di tutti gli operatori, senza prevaricazione, ognuno nel proprio ambito, in continua proficua interazione. Non si può gestire l’istruzione come fosse un’azienda, pena la limitazione della libertà d’insegnamento e il continuo ricatto cui il docente è sottoposto se non produce più numeri. Ci siamo chiesti perché non si boccia più ed il livello formativo si è abbassato? L’educazione e l’istruzione sono gli unici strumenti per migliorare la società e non possono essere subordinati alla legge del mercato.
Vediamo, però, anche l’aspetto pratico di questa riforma: nei territori dove vive il sottoscritto innanzitutto non esiste il tessuto produttivo di cui tanto si parla. Inoltre, in molti contesti del sud Italia, le attività economiche, in modo diretto o indiretto, sono nelle mani della criminalità organizzata che usa le cosiddette teste di legno per riciclare denaro.
Mi chiedo: la scuola dovrebbe stipulare un accordo di rete con aziende gestite da taluni personaggi? L’unica arma che gli insegnanti avranno sarà quella di bloccare gli accordi di rete nei Collegi dei docenti. La riforma prevede che gli accordi con le imprese dovranno previamente essere approvate da tale importante consesso, ma si tratterà, per una volta, di votare liberamente e senza condizionamenti. Si tratterà di provare a restituire dignità a questa figura oppure ridurla ai margini, svuotandola della funzione che ha sempre avuto, quella di consegnare sogni e speranze alle generazioni future, a meno che molti docenti, pur di acquisire misero potere e visibilità, non siano diventati piccoli figuranti al servizio del capetto di turno, ma forse lo erano già.
Giuseppe Racco
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