Nel dibattito sui programmi scolastici ritorna spesso il tema “latino sì – latino no”.
Ma non bisogna credere che questo sia un tema recente, anzi è esattamente il contrario. Addirittura nei mesi precedenti la approvazione della legge sulla scuola media unica (la n. 1859 del 1962) si sviluppò quella che le cronache dell’epoca descrissero proprio come “battaglia del latino”.
Per la verità la questione era emersa già nel corso dei lavori della Costituente, fra la metà del 1946 e la fine del 1947, quando si impose l’idea di una scuola obbligatoria per tutti finalizzata alla formazione del cittadino, idea del tutto trasversale ai due schieramenti dominanti in quel momento (cattolici e socialisti-comunisti).
Su un punto, però, i due fronti non si trovavano d’accordo, e fu quello dell’insegnamento del latino: per i cattolici il latino doveva rimanere nei programmi, mentre per il fronte laico sarebbe stato opportuno cancellarlo per evitare che diventasse strumento di selezione nei confronti dei ragazzi delle classi sociali più modeste.
Anche se però le posizioni non erano affatto monolitiche come si potrebbe pensare.
Per esempio all’interno dello stesso Partito Comunista, per almeno un decennio, si confrontarono due linee diverse: il latinista Concetto Marchesi, rifacendosi anche al pensiero di Antonio Gramsci, era convinto che fosse necessario lasciare il latino nei programmi anche per consentire ai meno abbienti di confrontarsi con la cultura classica.
Verso la fine degli anni ’50 il dibattito proseguì ininterrottamente fino a quando nel 1959, l’allora Ministro dell’Istruzione Aldo Moro, con una propria circolare, modificò l’esame finale di terza media eliminando la prova scritta di traduzione dall’italiano al latino e lasciando solo quella dal latino all’italiano: si trattava di una “apertura” nei confronti di socialisti e comunisti. Fra il 1961 e il 1962 la questione esplose e coinvolse anche l’opinione pubblica: soprattutto negli ultimi mesi prima della approvazione della legge sulla media unica molti quotidiani dedicarono ampio spazio all’argomento, alle volte persino con articoli in prima pagina.
Quando alla Camera si arrivò alle battute finali il dibattito divenne serratissimo e furono il Ministro dell’Istruzione Lui Gui e il Presidente del Consiglio Amintore Fanfani a trovare una soluzione di compromesso: in seconda media restano “Elementi di latino” a sostegno dell’insegnamento dell’italiano, mentre in terza il latino compare come materia facoltativa in modo da consentire a chi voglia poi iscriversi ad un liceo di possedere almeno i rudimenti della lingua di Cesare e Cicerone.
La legge viene votata dai partiti di Governo (DC, Repubblicani e Socialdemocratici) e dal Partito Socialista; il PCI e la destra (Monarchici, Missini e Liberali) votano contro.
Con i nuovi programmi per la scuola media del 1979 il latino viene eliminato definitivamente e da allora il dibattito sul “latino sì – latino no” continua a tenere banco nel mondo della scuola e non solo.
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