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Latino lingua morta, chi lo pensa è fuori strada. Non esiste innovazione senza studio delle nostre radici.

Siamo stati attratti da un modello didattico che riesce a risaltare l’importanza dello studio del latino, ancor di più perché tale modello è stato utilizzato al sud Italia dal prof. Francesco Polopoli del Liceo Classico “F.Fiorentino” di Lamezia Terme, che, con le sue classi IV e V A, ha articolato un Ambulatorio Scientifico Latino (e non solo) al fine di evidenziare che non c’è innovazione senza l’attenzione alle nostre radici.

Intervista al prof. Polopoli

Qual è la stata la finalità del laboratorio di studi medici sia in latino che in greco?

La consapevolezza di rimandare all’antico le prospettive del futuro, partendo dal significato delle stesse parole: del resto dal 450 a. C. la lingua greca viene usata in medicina senza alcuna interruzione cronologica. Più nello specifico le parole “chirurgo, anestetico, cranio, diabete, flebite, bronchite, laringe, esofago, cachessia, arteria, sindrome, paraplegia” così come “ictus, angina pectoris, die, exitus, trigemino, decubito” rimandano ad evidenti grecismi e latinismi. Graecia capta ferum victorem cepit (Orazio).  Se è vero come è vero, poi, che l’angloamericano è la lingua di riferimento della letteratura scientifica internazionale (“by-pass, pace-maker, check-up, screening, follow-up, trial”), è altrettanto evidente come questa nomenclatura, apparentemente nuova, sia un vocabolario classico rifunzionalizzato ed ibridato.

C’è stato un coinvolgimento da parte degli studenti?

Il riferimento, innanzitutto, è stato il metodo Ørberg, basato sulle tecniche di apprendimento delle lingue moderne. Nel contesto vivo della comunicazione, in modo naturale, è stato costruito un dibattito corale dal giuramento di Ippocrate fino ai precetti del Regimen sanitatis Salernitanum: persino l’anatomia umana, partendo da un modello plastico, come si fa per Scienze, è stata partecipata nello stile ciceroniano, senza che si sia manifestata alcuna esitazione da parte degli studenti. Anzi il tutto è avvenuto con maggiore fluency ed autocontrollo degli studenti per essere maggiormente discorsivi come in un comune contesto di discussione: insomma il dialogo tra ieri ed oggi, tra l’antico e moderno, cioè, s’è intersecato con continuità storica. La pratica diretta delle lingue classiche – ha confermato questa sperimentazione – ha permesso di rendere familiari veicoli comunicativi che, altrimenti, si potrebbero percepire distanti e difficilmente “masticabili”, come si dice per i linguaggi.

C’è una ricaduta nel loro percorso formativo?

Senza dubbio un’attualizzazione dell’antico maggiormente più consapevole anche alla luce di tutte quelle ordinanze che sentiamo da quando è entrata nella nostra vita l’età pandemica. Dalla scuola salernitana al virologo Matteo Bassetti le raccomandazioni prescrivono gli stessi accorgimenti («Si fore vis sanus, ablue saepe manus», «se vuoi stare sano, lava spesso le mani»). Insomma, le buone pratiche profilattiche vengono fuori dalle pagine di una sana letteratura, con buona pace di tutti i cultori della scienza che, senza sbugiardarla, ne ha fatto finanche un bugiardino (ovviamente in una rilettura ironica a concettualizzazione di un sapere sempre più simbiotico tra l’area umanistica e quella scientifica).

Può questo lavoro acquisire una dimensione più sociale, allargandosi a coscienza del territorio?

A dire il vero l’ho strutturato in modo simile ad un’unità di apprendimento di educazione civica: l’educazione alla salute, difatti, passa dall’interiorizzazione che “se più so del mio corpo, più me ne prendo cura”.  Da qui: a) il significato di “star bene”, b) le regole e i comportamenti che hanno effetti positivi sulla salute (abitudini alimentari, igiene, prevenzione), c) i comportamenti che hanno effetti negativi sulla salute (fumo, alcol, droga) e il modo di sfuggirli, d) le persone e le Istituzioni che ci aiutano “a star bene”, senza dimenticare le linee guida da cui si è partiti per arrivare al compimento di questa sperimentazione didattica: “il classico rinforza le difese culturali e rende immuni rispetto alla banalizzazione”.

Lucio Ficara

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